giovedì 16 agosto 2012

Differenze storiche

Mi è capitato di fare quattro chiacchiere con un vecchio valtrumplino, che come spesso capita agli anziani si è messo a raccontare un po' della sua vita.

Da giovane cominciò a far il camionista, poi a 21 anni fu chiamato per fare il servizio militare. Era già al CAR quando, al momento di assegnarlo, un ufficiale lo chiamò e gli chiese:"Chi conosci a Roma?"
"Nessuno."
"Impossibile, qualcuno conosci."
" Mah, forse ho un parente che fa l'impiegato in qualche ministero..."
"Più su, più su."
"Ah, la mia fidanzata è imparentata con il ministro Tizio."
"Esatto. Qui c'è il tuo congedo".

Una volta tornato a casa, continuò a fare il camionista, finché, visto che un po' se ne intendeva di macchine, fu chiamato in una fabbrica di rubinetti per dirigere un po' la catena produttiva. A sentire sua moglie, non lavorava mai meno di 10-11 ore, e poi anche la sera a casa: in garage aveva approntato una piccola officina in cui faceva lavorazioni, riparazioni e piccoli lavoretti meccanici. Anche la moglie lavorava in fabbrica.

Dopo la pensione, ha continuato per un bel po' di tempo a lavorare nel suo garage, in nero. E lo diceva, "in nero", come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Pensavo a questo racconto, a quanto sia rappresentativo della storia del nostro Paese nel dopoguerra, dei suoi vizi e delle sue virtù, specialmente qui al Nord.

Negli anni Cinquanta e Sessanta questo Paese è stato ricostruito contando su un mix di conoscenze, raccomandazioni, lavoro nero, nei primi tempi mercato nero, che ha lasciato in eredità un po' delle storture che oggi ci fanno da zavorra. Quando parliamo male dei politici, dovremmo ricordarci che l'humus dell'approfittare delle situazioni è parte integrante della nostra cultura molto più di quanto non lo sia il senso civico.
Oggi sappiamo di non poterci più permettere tutto ciò in quelle misure così endemiche: il sistema non regge più. Lo sfruttamento delle "risorse" di illegalità è un privilegio ormai consumato.

Nello stesso tempo, in quel periodo c'era comunque una grande cultura del lavoro e del sacrificio. Oggi non siamo abituati a pensare di fare due lavori, legali o in nero che siano. Chi è disposto a lavorare più delle otto ore canoniche? Gli artigiani, che sono i più "lavoratori" per tradizione e per interesse, spesse volte sono stranieri.
Proprio ieri parlavo con una ragazza che conosco, il cui marito - che cercava un lavoro - ha accettato di fare il cameriere stagionale in Trentino per un mese. Questo significa un mese lontano dalla moglie, pur di lavorare. Ebbene, la coppia è rumena. Quanti italiani avrebbero accettato quel posto? Anche tra quelli che un lavoro ce l'hanno?

Accanto alla parte negativa di cui parlavo prima, ho l'impressione che negli anni Cinquanta e Sessanta ci fosse anche una laboriosità più alta di oggi. Per ricostruire l'Italia, insomma, le generazioni che ci hanno preceduto hanno lavorato sodo. Ho uno zio che dopo il giorno in cantiere la sera si era trovato un posto da guardia notturna per sostenere meglio la famiglia. Oggi siamo disposti a farlo?

E' vero che il contesto era diverso: oggi non si potrebbe passare dal guidare un camion a fare il mezzo responsabile in una azienda meccanica, le competenze richieste sono molto più specialistiche, ma resta il fatto che se tanti lavori restano scoperti qualche domanda in tempo di crisi, come giovani, ce la dovremmo porre.

Non voglio dire che fosse giusto lavorare come facevano una volta, non credo alle età dell'oro. La qualità della vita  (il tempo libero, il tempo per la famiglia) è una conquista, così come i diritti.
A volte però penso che la stagione del '68 abbia focalizzato un po' troppo i diritti e abbia fatto perdere di vista i doveri. Forse inseguendo tanti diritti (quasi tutti sacrosanti) abbiamo perso un po' di etica del lavoro senza guadagnare in senso civico. Siamo un po' arretrati sulla parte delle virtù senza migliorare i vizi.
Forse, in tempi di crisi, si potrebbe pensare più al lavoro e meno a certi diritti che potrebbero risultare poco sostenibili.

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