sabato 25 giugno 2011

Dai referendum all'Italia e agli italiani

L'acuta analisi di Luca Ricolfi ha qualche punto in comune con quanto scrivevo martedì scorso sull'interpretazione del voto referendario. Ricolfi però si allarga e fa una disamina della situazione più ampia, arrivando a citare come "l’eredità più negativa dell’era berlusconiana" un effetto sulla politica: "Aver trasformato la politica in uno scontro di fazioni, in cui conta solo annientare l’avversario, e nulla valgono le idee, i contenuti, le proposte, i dettagli". Al riguardo non sono d'accordo.

Senz'altro quella citata è una colpa non da poco. Stiamo avendo proprio in questi giorni una riprova "al contrario" di quanto siamo malati di questa concezione: le accuse a Di Pietro per il colloquio avuto alla Camera (una sede istituzionale) con Berlusconi sono surreali. Bisognerebbe applaudire il buon Tonino per aver usato una volta tanto dei toni civili, dovrebbe anzi essere la normalità, e invece ce ne stupiamo e, cosa ancor più grave, c'è chi si arrabbia per questo.

Io però credo che la colpa più grave del berlusconismo sia la trasformazione della società italiana, e non della politica. La politica era già in parabola discendente da molti anni, e chissà addirittura che non sia sempre stata così com'è ora: un intreccio di clientele, conoscenze, a volte corruttele. Credo di aver già citato Churchill, secondo cui in Parlamento ci sono il 10% di persone valide, il 10% di farabutti e l'80% di persone "normali", specchio del Paese.

Anche tutto questo can-can su Bisignani francamente non mi interessa nulla, e non credo che possa essere la prova di questo degrado. Si tratta essenzialmente di fuffa, secondo me, e trovo anche vergognoso che si mettano in piazza conversazioni private assolutamente irrilevanti, solo per seminare zizzania. Tra l'altro Bisignani è sulla piazza da decenni, non solo con questo governo o questa maggioranza ma fin dalla Prima Repubblica, quindi il malaffare ai piani alti non è nuovo. Vedremo se la magistratura riuscirà a costruire qualche capo d'accusa, se no dovremo solo chiedere scusa a tutti per la morbosa curiosità di farsi i fatti altri.

Ed ecco che arriviamo a quel che dicevo sopra: questa curiosità da reality che contagia anche i giornalisti, che non provano nemmeno a discernere quel che hanno in mano ma pubblicano e basta, questo clima - come ha detto Buffon - "da Piazzale Loreto", la ricerca a tutti i costi del quarto d'ora di celebrità, come da azzeccata traccia dell'esame di maturità: questi sono i danni più grandi del berlusconismo. Un berlusconismo inteso in senso ampio, "televisivo", che comincia dagli anni '80 e non dal 1994. E allora anche la politica diventa televendita, l'etica bacchettona della Rai di Bernabei viene travolta da Drive-In, e i modelli proposti non sono più quelli di De Amicis ma delle veline, in Parlamento e soprattutto fuori.

E' troppo addossare alla TV la colpa di questo degrado? Certo, ci sono altri fattori di crisi, dall'autorità degli insegnanti a quella dei genitori. Ma se diciamo, come è stato detto, che la TV ha fatto gli italiani, diffondendo la lingua unitaria e facendo da minimo comune denominatore, allora dobbiamo anche prendere in considerazione l' ipotesi che la TV possa anche (contribuire a) disfarli.

Mio fratello dice che questi danni del berlusconismo ce li porteremo dietro ancora per chissà quanto tempo, anche dopo la sua dipartita dalla scena. E purtroppo è vero. Peggiorare la gente vuol dire poi peggiorare anche quell'80% di classe politica che la rispecchia, e quindi c'è una conseguenza anche sulla politica.
E non credo, per tornare laddove ero partito, che il voto referendario sia sinonimo di "risveglio culturale", quanto più di slogan passati in maniera efficace, come dice Ricolfi.

Si potrà obiettare che anche negli altri Paesi questa deriva commerciale da reality ha preso piede, magari anche prima che da noi (forse perché l'Italia contiene il Vaticano?...). Quindi magari anche senza Berlusconi sarebbe successo ugualmente. Sarà vero, ma ciò non toglie che in Italia il protagonista del "cambio di mentalità" è stato indubbiamente Berlusconi, e se ne prende quindi la responsabilità.

p.s. lo so che in questo post sono pessimista, ma per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia ho deciso di affrontare il cimento della lettura delle Confessioni di un italiano. Libro intriso di romanticismo, ma che ci volete fare: non si può fare a meno di notare le differenze!

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