mercoledì 15 settembre 2010

Questione di linguaggi

Leggo che Giuseppe Civati scrive questo.
Pippo Civati è uno dei "giovani" dirigenti del Pd. Lui, Renzi e la Serracchiani sono considerati il nuovo nel partito. Lui in particolare usa molto il web. Ogni tanto lo seguo, lo apprezzo soprattutto in due cose: nella efficacia con cui denuncia gli errori del Pd e quando riesce a dare concretezza alle idee che esprime con alcune iniziative pratiche, sul territorio. Mi sembra che a volte sia carente su una visione più globale (e non su singoli temi) di quel che dovrebbe essere il Pd, ma stavolta qualcosa prova a dire.

Luigi Castaldi - alias Malvino - commenta così.
Luigi Castaldi è un radicale, intelligente e arguto in molte argomentazioni. Provocatorio in senso positivo, anche per un credente come me.

Questo "botta e risposta" mi suscita una riflessione sul linguaggio. Secondo me in politica prima o poi devi fare il politico, il politicante, usare il politichese. Certi temi - strategie, prospettive, idee - non si possono evitare per parlare sempre dei casi pratici (che so, la scuola di Adro o la visita di Gheddafi). Nello stesso tempo è difficile, quasi impossibile parlarne senza usare termini che oggi suonano antipatici, troppo politichesi, in un certo senso "stupidi", come quelli che Castaldi fa notare.

E nel momento in cui lo si fa, troverai sempre qualcuno che te lo fa notare, a mio parere in modo un po' qualunquista. Non è il caso di Castaldi, che da radicale ha una consolidata tradizione di anti-partitocrazia e, appunto, di radicalismo, ma spesse volte molti commentatori sono pronti a lanciare strali contro i "discorsi vaghi e fumosi" senza proporre alternative migliori.

Per evitare di dare quest'impressione l'unica possibilità è inventare un linguaggio nuovo, immaginifico, come Obama, o Vendola, o - in modo diverso - Berlusconi. Veltroni ci ha provato, ma l'ha infarcito di un po' troppi "ma anche"... E comunque all'atto pratico i nodi vengono al pettine, come sta succedendo a Silvio e Obama.

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