lunedì 20 settembre 2010

Nomadi e XXI secolo

Le iniziative francesi dei giorni scorsi hanno riacceso, come periodicamente avviene, i riflettori sulla questione rom. Io non conosco molto dell'argomento, e soprattutto non ho una soluzione sottomano. E' un tasto veramente complesso, che la civiltà moderna tende a rimuovere.

Cominciamo con il parlare di normative che possano riguardare i nomadi, per cercare di inquadrare politicamente e/o socialmente questo fenomeno.

La Costituzione italiana prevede esplicita tutela solo per le minoranze linguistiche (art. 6), non etniche o culturali. Costituzionalmente, quindi, la tutela dei rom si inserisce nell'articolo 3, quello che recita "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Normalmente questo articolo è interpretato nel verso della non discriminazione, e non della tutela attiva o promozione delle minoranze.
C'è poi una legge (482/1999) intitolata "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche", che estende il discorso al contesto culturale in cui le minoranze sono inserite, ma parla ancora di minoranze linguistiche.
I nomadi però in Italia non sono trattati come una semplice minoranza linguistica: per le minoranze linguistiche (pensiamo ai ladini) si prevede la tutela e la non discriminazione della lingua, ma non si provvede a fornire servizi (leggi: campi nomadi). Chi parla il ladino non sta in case popolari fornite perché si tratta di una minoranza linguistica... Quindi i nomadi non sono assimilabili una minoranza linguistica.

Metà delle regioni italiane ha poi una legislazione regionale ad hoc per, che prevede per esempio i campi nomadi e le meritorie iniziative di inserimento ed integrazione. Il Secolo d'Italia del 17/9 ci informa che "queste leggi prescrivono che gli insediamenti debbano essere dislocati in aree metropolitane non degradate dotate di infrastrutture, elettricità, servizi igienici, acqua potabile, fognature e raccolta dei rifiuti, con facile accesso ai servizi socio-sanitari e alle scuole".
Al di là del fatto che queste indicazioni siano più o meno disattese, la domanda che mi faccio è: chi paga? I rom pagano un affitto ai Comuni?
Se sì, sono forse assimilabili a dei "campeggiatori": gente che scegliere di vivere per periodi più o meno lunghi in maniera girovaga, e paga per i servizi. Allora mi sorge un'altra domanda: ma i campeggi non vanno bene per le roulotte e i camper rom? Non è ironico, me lo chiedo davvero: in linea di principio che differenza c'è? Perchè creare dei "campeggi pubblici"? Forse quelli privati costano troppo, quindi il pubblico fornisce una specie di "case popolari" a prezzo calmierato.
Se i rom invece non pagano, è giusto che la comunità paghi le scelte di vita di una sua parte?
Forse sì, nell'ottica di una politica sociale, ma faccio già più fatica ad accettarlo. I rom sono allora comparabili a dei nullatenenti, a cui lo Stato fornisce alloggi di minima sussistenza? E allora tutti i barboni delle città non avrebbero lo stesso diritto? Perché non usare le stesse strutture (campi nomadi) come semplici dormitori aperti anche a chi rom non è?

Quindi, fin qui io non riesco ad inquadrare i nomadi né come minoranza linguistica, né come "campeggiatori eterni", né come abbonati ai servizi sociali.
E qui mi faccio una domanda: i nomadi - meglio: il nomadismo è inquadrabile in qualche modo nella moderna società occidentale del XXI secolo?
Io qualche dubbio ce l'ho.

L'attività umana ha subito nei millenni una progressiva, inarrestabile transizione da nomade a stanziale. A partire dall'agricoltura, passando per le urbanizzazioni del Medioevo e dell'era industriale, le varie popolazioni nomadi man mano hanno messo radici. Oggi la situazione è tale che anche le attività lavorative (=il sostentamento) richiedono una stabilità, senza parlare poi della scuola per i bambini.
Inoltre, non capisco bene come i rom cittadini italiani possano certificare la propria residenza: il domicilio si elegge, e va bene, ma la residenza va certificata dai vigili, e si basa proprio su una certa stabilità di posizionamento: bisogna dimostrare di vivere lì, in quel posto in forma stabile, per vedersi certificata la residenza, chi si sposa o va ad abitare da solo lo sa bene.

In definitiva, secondo me la cultura rom nomade è - a tendere - in via di estinzione, per una sorta di "darwinismo" delle culture: non si adatta all'ambiente circostante. Mi chiedo se tutelarla legalmente non sia accanimento terapeutico; bisogna invece proseguire con la non discriminazione e i piani di integrazione, che però vedo poco possibili senza una virata verso la stanzialità delle famiglie coinvolte.

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