venerdì 14 giugno 2019

Individualismo vs...

Da un po' di tempo partorisco questo post.
Ricordo quando ci fu la discussione sulle unioni civili. L'obiezione che si portava rispetto all'impegno della sinistra sul tema era che si portassero avanti i diritti dei gay mentre si smantellavano i diritti dei lavoratori.
Più d'uno sosteneva che non è così, che è una falsa contrapposizione, perché i diritti si promuovono tutti insieme. Questa cosa mi è tornata in mente qualche giorno fa, leggendo Cani Sciolti, il fumetto di Gianfranco Manfredi che parla degli anni della contestazione. Manfredi ricorda la saldatura delle lotte di varie categorie e per diversi obiettivi (divorzio, aborto, casa, salari), con lo slogan "Vogliamo tutto". Uno scambio in rete, sempre in questi giorni, mi ha invece proposto una lettura diversa.
Un internauta faceva notare che i diritti civili sono diritti individuali. I diritti dei lavoratori sono collettivi. Dopo la caduta del Muro la sinistra si è trovata senza la bandiera (in verità scolorita da un decennio) della lotta di classe, e ha preso in mano la bandiera dei diritti civili. Ma questo ha voluto dire cedere all'individualismo, che è un tratto proprio del capitalismo - o meglio: del consumismo.
La società che perde coscienza di classe e che vede ciascuno come singolo individuo, impegnato nel cercare di realizzarsi, anche a discapito dell'altro, con l'uso di status symbol e in definitiva arricchendosi e facendo acquisti, è quella tipica del consumismo. Pensiamo agli yuppies degli anni '80. In quel periodo hanno preso forza le battaglie per i diritti omosessuali.
Ma la sinistra storica si basa sul fare gruppo, sul "sortire insieme" dai problemi, per dirla con don Milani. Questo mi fa pensare due considerazioni in un certo senso opposte.
Fare gruppo vuol dire inevitabilmente individuare dei tratti identitari. A volte anche definirsi per contrapposizione: i proletari contro i padroni. Oggi la sinistra mi pare allergica a questo tipo di impostazione "esclusiva", che segmenta la società, che viene percepita come settaria.
Ma la tendenza dell'uomo a percepirsi come simile ai "vicini" è un tratto naturale. Questo non vuol dire che non possa essere controllato e razionalmente limitato, ma l'istinto è quello.
La bandiera dei gruppi, delle tribù, è quindi rimasta in mano alla destra, che ha sempre usato un "noi vs. loro" (fascisti vs. resto del mondo, per ipersemplificare), ma - a differenza della sinistra - non ha mai preso a "vergognarsene".
Però (seconda considerazione) forse la sinistra si "vergogna" del settarismo perché è riuscita nel "vogliamo tutto": la sinistra ha esteso il concetto di uguaglianza fino a ricomprendere tutte le categorie, e tutti gli argomenti. Non solo la classe operaia, ma anche i gay. Non solo i salariati, ma anche i neri. Non solo i lavoratori, ma anche i pensionati e gli imprenditori. Questa estensione è (per ora?) solo sul piano teorico, formale, non sul piano concreto (per esempio delle retribuzioni), ma in effetti potrebbe essere catalogata come un successo della sinistra, che storicamente si batte per l'uguaglianza. Però "tutti uguali" finisce per voler dire che non c'è nessun gruppo da contrapporre, nessuna lotta, neppure di classe.
E se non c'è più un "noi", ci sono solo tanti "io". L'essenza del capitalismo. Il "noi tutti" è un concetto quasi religioso ("tutti figli di Dio"), ma anche la religione sa che la Gerusalemme celeste non è di questo mondo. Oggi un modello strutturato in noi vs qualcun altro non ha più nemmeno un nome. Il comunismo non c'è più. Il nazionalismo esprime un tipo specifico di "noi", che non è l'unico possibile. Forse va bene "comunitarismo"? Ma è storicamente un'altra cosa.
Con tutto ciò cosa voglio dire? Non lo so neanche io. Quindi smettiamola con questo sproloquio sociologico-filosofico-politico senza averne le basi.

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