mercoledì 3 aprile 2019

Incontrare i musulmani

Sabato sono stato a Incontrarsi per conoscersi, il momento di fraternità vissuto presso il Centro Culturale Islamico di via Corsica, in commemorazione degli 800 anni dell'incontro tra san Francesco e il sultano Al-Kamil.
Sono rimasto favorevolmente impressionato dalla calorosa accoglienza e dalla numerosa affluenza.
L'incontro è stato più importante per il fatto di essere stato pensato e organizzato che per il contenuto stesso delle riflessioni.
Quanto detto sulla preghiera da frate Giancarlo e dal dottor Kabakebbj è cosa abbastanza nota. Frate Giancarlo ha indorato la pillola cercando i punti di somiglianza tra le due religioni, ed evitando per esempio di spiegare che la prescrizione della preghiera cinque volte al giorno (mattutino, lodi, ora media, vespro, compieta) vale solo per i religiosi. L'esposizione del relatore musulmano ha invece puntato molto sul fatto che la preghiera è obbligatoria (addirittura "il primo dovere del credente", ha detto). In generale mi è rimasta l'impressione che l'Islam sia una religione molto impostata sulle prescrizioni, mentre per i cristiani il comandamento fondamentale è quello dell'amore, una norma di vita e non di comportamento. Ciò mi ha fatto riflettere sul fatto che il cristianesimo è probabilmente la religione con meno vincoli e precetti. Interessante.
Il nostro vescovo ha parlato soprattutto del senso di spiritualità e di misticismo della preghiera, e dell'importanza dell'incontro. L'imam ha pronunciato invece parole molto incisive sulla società moderna, minacciata dall'ateismo: l'uomo che rifiuta il divino e pensa solo a sé stesso non trova la vera felicità. Queste parole mi sono ritornate in mente domenica, quando don Federico, nel commentare la parabola del padre misericordioso, ha descritto il figliol prodigo come uno che riteneva che la vera felicità si trovasse nei soldi e nelle persone (le prostitute). Così, paradossalmente, nell'individualismo, facciamo dipendere la nostra felicità dagli altri, da fattori esterni. E, come dice l'imam, non saremo mai felici.
Mi è piaciuta la nota finale di padre Giancarlo: san Francesco e il sultano si sono potuti riconoscere e parlare perché erano entrambi dei mistici.
La moschea di via Corsica mi ha lasciato una bella impressione. Leggo sulla targa esterna che le sovvenzioni arrivano (in parte) dal Qatar. Mi chiedo se parlare con queste brave persone sia sufficiente: a Brescia ci sono anche musulmani che si ritrovano altrove (viale Piave, via Volta, vicolo del Moro). Per esempio non mi pare d'aver visto molti pakistani. E' il solito problema della rappresentatività degli interlocutori musulmani.
E' stato per me stupefacente vedere la fatica di molti adulti, anche le guide della comunità, nel parlare italiano. Anche gli avvisi appesi alle pareti sono scritti in arabo (e non solo, mi pare) e in un italiano stentato. E' vero che la dottrina islamica prevede l'arabo come unica lingua, ma penso che questo sia un problema in vista dell'integrazione. Tra l'altro, alla moschea si ritrovano musulmani di vari Paesi: non sarebbe male che la lingua franca fosse l'italiano. Invece i giovani, probabilmente nati qui, parlano l'italiano benone, per fortuna.

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