mercoledì 19 dicembre 2018

La pastorale del mondo

Sto leggendo la bella biografia di Paolo VI curata da Xenio Toscani.
Lettura impegnativa, ma piacevole e interessante.
Mi ha un po' stupito leggere gil stralci delle riflessioni di Montini nell'immediato dopoguerra. Già allora il Papa si interrogava sul rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno, sempre più secolarizzato.
Chissà cosa direbbe oggi... credo che l'evoluzione successiva abbia confermato il processo che lui aveva intuito fin dalle radici culturali e filosofiche, da cui è discesa la seguente deriva nelle pratiche.
Al tempo si confrontavano due approcci, la "via spagnola" dell'accordo con lo Stato franchista e la "via francese" delle missioni popolari, dei preti operai, della Francia terra di missione.
A prevalere fu l'impostazione francese, con grande impulso di Montini stesso. Il Concilio poi la istituzionalizzò.
L'accento, da allora, si pone sulla pastorale, sui "testimoni" più che sui "maestri".
Mi ha stupito realizzare che sono settant'anni che stiamo girando attorno a questi concetti.
La nostra pastorale, dalle banalità (la Messa serale, per esempio: non sapevo che nell'anteguerra non fosse permessa) agli sforzi più grandi (le Missioni popolari), è orientata da allora nel senso della apertura, della ricerca, della proposta ai lontani.
I risultati a volte lasciano sconfortati, fin da allora, con il mezzo fallimento della Missione di Milano del 1957. Il progressivo distacco del mondo da Dio è continuato, indifferente a ogni sforzo. Perché? Non lo so. Ho poche idee, e ben confuse.
Perché si è scelta la strada sbagliata? Dovevamo scegliere la via spagnola (o russa, diremmo oggi)?
Perché non siamo stati capaci di percorrere la via fino in fondo? Se anche papa Francesco sostiene che la fede si propaga non per proselitismo, ma per attrazione, vuol dire che negli ultimi decenni (o secoli) non siamo stati abbastanza santi da attrarre? Non lo so, può essere ma mi suona come un no true scotsman. Se fosse così vorrebbe dire che ci siamo posti un obiettivo troppo elevato per le nostre forze.
Perché - per dirla con Montini e con Benedetto XVI - non siamo stati capaci di coniugare il rinnovamento con il mantenimento di salde radici nella verità? Ma le vere radici a cui fanno riferimento i due papi sono quelle filosofiche (per Paolo VI) e antropologiche (per Benedetto).
Il mondo d'oggi - diversamente da quello degli anni '50-'60 - rifiuta persino qualsiasi base filosofica e ideologica. Siamo oltre l'impostazione su filosofie sbagliate (il materialismo, l'idealismo, il marxismo...). Siamo all'irrilevanza della filosofia, una specie di caos primordiale del pensiero.
Al giorno d'oggi, inoltre, non si pone nemmeno più la dicotomia tra testimoni e maestri: il mondo non accetta più maestri. Basta vedere la perdita di autorità degli insegnanti. La via della testimonianza è l'unica possibile.
Eppure, spesso l'effetto è quello di Paolo all'Areopago: "su queste cose ti sentiremo un'altra volta". Le cose che testimoniamo non interessano.
A volte ripenso all'opzione Benedetto, quella delle piccole comunità che mantengono viva la fiamma della fede come i monasteri medioevali. Magari ci arriveremo non per scelta ma di fatto, rimanendo semplicemente in pochi. Anche in quel caso, comunque, non potremo esimerci dall'essere testimoni.

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