venerdì 23 novembre 2018

Immigrati a pacchi

Sabato scorso Nello Scavo è intervenuto al nuovo corso della SFISP.
Tra le altre affermazioni, ha detto che il numero totale di rifugiati arrivati dalla crisi del 2015 in poi in Europa è pari allo 0,5-0,6% della popolazione europea. Non ricordo esattamente il dato (si riferiva alla popolazione del continente europeo o alla popolazione dell'Unione Europea?) ma il concetto è chiaro: non c'è alcuna invasione, il flusso è (sarebbe) perfettamente gestibile.
Mi pare che a questo tipo di prospettiva - sicuramente corretta nei dati - manchino almeno due osservazioni.


Una è quella che amo chiamare l'integrale (questa la capiscono solo gli ingegneri).
Si dice sempre che gli arrivi sono solo lo 0,5%, anzi sono calati, eccetera. Ma spesso non si tiene conto del fatto che gli arrivi si aggiungono agli immigrati già presenti sul territorio, non è che questi spariscono. Certamente alcuni di questi immigrati poi si integrano, ma a livello di percezione un nero integrato e uno appena arrivato non sono distinguibili, se li incontro nella coda al supermercato. Allo stesso modo anche dare la cittadinanza italiana non cambia la percezione, anzi fa sembrare "bugiardi" i numeri, perché sottrae una milionata di naturalizzati che diventano italiani per le statistiche ma che restano stranieri negli occhi della "gente". Da dati Eurostat, in Italia oggi ci sono 11,3 persone di origine straniera per ogni 100 italiani, contando solo i regolari. Il loro numero è quintuplicato in 20 anni.

Un'altra osservazione, quella su cui mi voglio soffermare di più, è l'effetto pacco.
La statistica citata da Scavo è un esempio lampante dell'effetto "pollo di Trilussa". Certo, in media saranno lo 0,6%, ma non è che finiscono in Romania o in Polonia. Sono finiti in Italia e Grecia, in prima istanza.
Si dice di solito: ci vorrebbe più solidarietà europea. Vero. Ci vorrebbero i ricollocamenti. Già su questo vedo diversi problemi. Una volta stabilite le "quote", come decidiamo chi va in quale Paese? Immagino che anche se i Paesi di Visegrad accettassero di prendere qualche centinaio di persone ricollocate, non ci sarebbe la coda per andare a Cracovia o a Bucarest. Allora che facciamo? Li obblighiamo? Li trattiamo come pacchi?
Facciamo come per l'Erasmus, in cui si stila una "graduatoria" con qualche criterio, i primi si scelgono la destinazione preferita e agli ultimi restano le destinazioni disponibili? E questi ultimi li spostiamo con coercizione?
I migranti sono persone, non pacchi. Mi pare che le statistiche alla pollo di Trilussa ("in media ce ne sono X per Paese") e le politiche di quote dimentichino questo fatto.

L'argomento della libera circolazione dei migranti, o di chi ne può decidere la destinazione, ritorna anche per gli ipotetici corridoi umanitari. Mettiamo a disposizione 50 posti con visto per l'Italia e 50 per la Slovacchia: e se le richieste in Somalia sono di più? E se 100 vogliono venire in Italia e 0 in Slovacchia? Facciamo la cernita là, con qualche criterio? E se rifiutano di andare in Slovacchia? Ricordiamo che se sono perseguitati abbiamo - ad oggi - il dovere di prenderli tutti.
Ma si riesce a stabilire se hanno diritto alla protezione?
Difficile, la proposta del Parlamento UE è di valutare la cosa comunque in Europa.
E nel mentre che si valuta la richiesta, che si fa? O teniamo i richiedenti asilo (in qualsiasi modo siano arrivati) in centri chiusi - vincolando la loro libertà personale, di nuovo come pacchi in magazzino, ma avendo la certezza di sapere dove sono - oppure li lasciamo liberi di girare con il loro permesso da richiedenti asilo - con il rischio, praticamente la certezza, che si rendano irrintracciabili in caso di esito negativo della richiesta.
A meno che il filtro "prima facie", nei Paesi d'origine, non sia estremamente selettivo, in modo da far passare solo chi ha la quasi certezza di vedersi riconosciuta la protezione internazionale... ma sarebbe un approccio (oltre che probabilmente illegale) simile a quello attuale, con visti difficilissimi da ottenere, e chi resta fuori si rivolgerebbe ai barconi.

Non se ne esce per nulla facilmente. Secondo me di soluzioni facili non ce ne sono, anzi neppure di difficili: secondo me parliamo di un fenomeno epocale, non arginabile nel lungo periodo.
Non mi fa piacere, preferirei starmene tranquillo nel mio mondo, ma dovrò farci i conti, anche perché la demografia spinge in quella direzione. La situazione andrà gestita con bastone e carota, e una forte dose di realismo.
Certo avremo un cambio epocale nella nostra civiltà: mi pare che l'unica migrazione di massa da un territorio poco popolato a uno ad alta densità nella storia sia stata quella delle cosiddette invasioni barbariche... non sono ottimista sul futuro della civiltà occidentale.
E però - da cristiano - non posso fare a meno di accogliere, di dare la vita (metaforicamente, si intende: a costo di sacrificare la civiltà) - per la vita dell'altro, come fece Gesù. Anche perché io non ho quasi alcun merito del benessere in cui vivo: è stata la lotteria della vita a farmi nascere qui, ma non posso pensare che un africano debba marcire nella miseria solo per una lotteria.

Aggiungo: è vero che l'immigrazione crea problemi. Molti, secondo me. Ma qui in Italia - e non solo - si è aggiunta l'indicazione da parte di qualcuno del capro espiatorio. Stiamo "male"? E' tutta colpa dei "negri". C'è del vero? Magari in parte sì, ma sicuramente se non ci fossero i "negri" non staremmo tutti bene e non avremmo risolto tutti i problemi.

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