giovedì 13 novembre 2014

Quale criterio per valutare i politici?

E' un po' che mi frulla in testa un ragionamento su una deriva che secondo me ha preso la comunicazione politica almeno da Berlusconi in poi (e prima non c'ero...).
Vedo che Luca Sofri lo ha scritto molto meglio di me: è ormai routine che chi è al governo perda molti consensi fino a perdere - quasi di regola - le elezioni successive, apparentemente in maniera indipendente da ciò che riesce o non riesce a fare.
La sintesi estrema di tutto questo è il seguente percorso: un partito o coalizione vince le elezioni, governa, riesce a combinare molto meno di quello che ha promesso per vincere, la gente si arrabbia perché voleva addirittura molto più di quello che aveva promesso, e alle elezioni dopo vota gli altri. E così via: nei casi in cui l’opposizione sia particolarmente inetta possono volerci un paio di turni.

Perché succede questo?
Secondo me per due motivi. Uno è che il mondo occidentale, complice la crisi economica, la "saturazione" del mercato, la difficoltà di creare nuovi consumi e di sostenere il modello economico basato sulla crescita costante del PIL, si trova in difficoltà sempre crescenti. Alla situazione oggettiva, in Italia ma non solo si sovrappone una oggettiva sovrastruttura burocratica fatta di pastoie, lungaggini, ricorsi, leggi e leggine che rendono ancor più difficile agire*.
E' quindi sempre più difficile realizzare qualcosa di positivo.

Contemporaneamente - e qui abbiamo il secondo motivo, legato anche alla comunicazione  politica - le campagne elettorali sono sempre meno ragionate e sempre più legate alla frase ad effetto, allo slogan, alla promessa. Ma le promesse non ragionate sono scivolose, troppo semplicistiche e - in definitiva - troppo difficili da mantenere.

Si tende insomma a promettere troppo (e sempre di più), quando la realtà costringe a realizzare poco (e - sembra - sempre di meno).
Questo scollamento genera la disaffezione di cui sopra, e l'impossibilità di avere successo di cui parla Sofri. Al momento della valutazione dell'operato di un governo o amministrazione che dir si voglia salta all'occhio la mancata coerenza tra le promesse e quanto ottenuto, e si finisce per votare l'opposizione.

A questo punto mi chiedo: se prendiamo atto che il problema di questa discrepanza esiste, è giusto non tenerne conto in fase di valutazione? La coerenza tra annunci e realizzazioni è ancora un criterio valido in assoluto per giudicare i politici? Dovremmo forse - noi cittadini - fare la tara a un certo grado di incoerenza, e in fase di valutazione non considerare le promesse più roboanti? Ma non sono forse queste quelle che dovrebbero essere più caratterizzanti per un politico?

Non ho una risposta a questi dubbi che mi sorgono. Da una parte, rinunciare a richiedere coerenza mi sembra una sconfitta. Dall'altra parte, credere a tutte le promesse da campagna elettorale è sempre stato considerato ingenuo. Però è vero che sono i candidati stessi a vincolarsi a queste promesse ingenue: loro sarebbero tenuti a credere a quello che dicono.

Forse dovrò farmene una ragione, e valutare le realizzazioni di un governo o di una amministrazione in funzione solo delle condizioni reali: ha fatto quanto meglio possibile (secondo me) o no, indipendentemente dalle promesse? Però a questo punto la parola data non conta più nulla, e da un politico mi aspetto che invece la parola abbia ancora un valore. Se non al 100% come prima, mi sembra eccessivo considerare le promesse allo 0%.

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* Inserisco qui una riflessione a latere su queste difficoltà oggettive. Io non so se le difficoltà dell'occidente siano dovute più alla crisi contingente, alla crisi globale del capitalismo, o alle difficoltà amministrative e burocratiche. La misura di queste componenti è dibattuta, e influenza il fatto se possiamo uscire o no da questa crisi: c'è chi dice che il capitalismo ha ormai raggiunto il suo asintoto, c'è chi dice che invece serve solo una scossa (Renzi a suo modo predica questo). Da una parte la storia ci dice che non è mai esistito un modello alternativo al capitalismo, dall'altra parte è vero che ogni fenomeno storico è destinato ad avere un inizio e una fine.
Una cosa che mi fa paura, però, è che a lungo andare (non credo a brevissimo termine) vinca l'idea che in un modo o nell'altro serva una palingenesi, e soprattutto che questa palingenesi debba passare da metodi drastici fino ad essere antidemocratici.

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