martedì 29 luglio 2014

Buon giornalismo o sensazionalismo?

Sabato sera, di ritorno da una cena, abbiamo acceso la televisione e, su RaiTre, c'era una puntata di Amore Criminale, il programma che racconta vari casi di femminicidio.

Era la prima volta che vedevo la trasmissione, che offre una ricostruzione di un caso di cronaca nera con degli attori (credo che il genere si chiami docu-fiction). Il racconto della puntata di sabato dipinge la vittima (Vanessa Simonini) come una ragazza spensierata e l'omicida (Simone Baroncini) come un giovanotto abbastanza "strano", senza amici, sulle sue, lunatico. Fino ad arrivare al tragico finale: le profferte di lui, il rifiuto di lei, l'omicidio per strangolamento.

Verso la fine del documentario, interviene il pubblico ministero Lucia Rugani, che spiega come abbia fatto di tutto per evitare l'attribuzione delle attenuanti generiche all'omicida. La PM sostiene che l'omicida ha agito con l'intenzione di uccidere, perché non è possibile che durante l'atto dello strangolamento non si fosse reso conto che con una pressione così prolungata sul collo della ragazza lei sarebbe morta.
A me è parsa una giustificazione piuttosto strana, dopo aver descritto l'assassino per tutta la puntata come un impulsivo, represso, tendenzialmente alienato. Però il programma prosegue dicendo che le richieste della PM furono accolte, con una condanna il primo grado di 30 anni di reclusione.

Si passa poi ai commenti della conduttrice e della criminologa di turno. La trasmissione, insomma, finisce. Subito prima dei saluti finali, però, appare a video per tre secondi un cartello: "Il processo è chiuso, la pena definitiva è di 16 anni".

Di questo fatto non si fa menzione, a voce. Appare solo quel cartello. Che però ci dice che due gradi di giudizio su tre (appello e Cassazione) hanno ritenuto applicabili le attenuanti generiche.

Mi chiedo, allora: perché insistere con il pubblico ministero proprio sull'inapplicabilità delle attenuanti, quando per la verità ufficiale queste ci sono? Non voglio sindacare se la decisione delle corti sia stata giusta o meno, non ne ho nemmeno gli elementi, visto che conosco il caso solo per averlo visto in TV sabato sera, in un programma in cui ovviamente non si dà spazio alla difesa ma si racconta solo il fatto di sangue.
Sta di fatto che per lo Stato italiano la verità giudiziale è quella: attenuanti generiche concesse, 16 anni di reclusione e non più i 30 raccontati nella narrazione.
Si fa un buon servizio alla verità, in questo modo, da parte di un servizio pubblico come la Rai e di un pubblico ufficiale come un PM? E' il caso di esporsi in quel modo in televisione, quando si è già stati smentiti (due anni fa, non ieri) dall'appello?

Immagino che la scelta sia stata dettata dalla necessità di fornire un finale congruo con la narrazione imperniata su "la bella e la bestia": la bestia è tanto cattiva, non gli si possono mica dare le attenuanti. Ma in questo modo la fiction prevale sul giornalismo.
Secondo me bisogna stare molto attenti, specialmente quando si trattano casi di cronaca nera, in cui è facile scivolare nel morboso.

Nessun commento:

Posta un commento