lunedì 30 settembre 2013

La fiducia e il vincolo di mandato

E così Letta andrà in cerca di voti per la fiducia al suo governo. Sono in molti ad augurarsi che ci sia un drappello di parlamentari responsabili che lascino Berlusconi al suo destino e sostengano il governo almeno fino a primavera.

"Responsabili" era anche il famoso gruppo di Scilipoti, Calearo, Razzi e compagnia cantante, che tre anni fa salvarono Berlusconi ai tempi della fronda finiana.

Nella pubblica percezione, però, i due casi sono molto diversi: il primo potrebbe essere valutato positivamente, o comunque come accettabile, mentre il secondo ha dato adito a riprovazione morale condita da grandi prese in giro.

Questa libertà del parlamentare di votare secondo coscienza (primo caso) o cambiare casacca (secondo caso) è garantita dall'Articolo 67 della Costituzione, che stabilisce l'assenza del vincolo di mandato, articolo sul quale in molti hanno espresso (o pensato) delle riserve in occasione dei suoi utilizzi più spudorati.
Anche Beppe Grillo quest'anno si è trovato a fare delle giravolte riguardo al vincolo di mandato. Io spesso mi sono trovato d'accordo con lui: se un eletto in un partito si trova in disaccordo con la linea del suo gruppo parlamentare, può sì votare secondo coscienza, ma alla seconda o terza o quarta volta potrebbe prendere atto della situazione e rassegnare le dimissioni (che in questo periodo va di moda).

Gli avvenimenti di questi giorni e la diversa percezione dei cambi di casacca (per ora molto eventuali) mi stanno facendo riflettere, così come la lettura di questo post che tratta di un argomento secondo me collegato (l'ostruzionismo parlamentare).

Cerco di isolare la domanda di fondo: è lecito attuare comportamenti legali ma problematici in termini di correttezza (votare contro il proprio gruppo, cambiare partito in corsa, applicare tattiche ostruzionistiche)?

Io - a differenza di Giovanni Fontana del blog che ho citato sopra - credo che il fine faccia la differenza. Non perché il fine giustifichi sempre i mezzi, ma perché questo può valere quando i mezzi sono comunque legali e non inaccettabili a priori, come nei casi che sto prendendo in considerazione. Se a fin di bene, il politico può applicare la sua libertà di usare tutti i mezzi regolamentari a sua disposizione.

Questo ragionamento però ci porta ad allontanarci dai rassicuranti porti dei regolamenti e dei "tecnicismi" schematici per andare verso considerazioni etiche: cos'è il bene? E chi decide cosa è bene?

La prima domanda ha interrogato e interpella milioni di pensatori, filosofi, teologi, in generale persone dalla notte dei tempi, quindi non mi metterò certo ad affrontarla io. Per fortuna nel caso in questione "chi decide" è semplice: il politico stesso. Deve essere lui a discernere nella sua coscienza quale è il bene per cui spendersi, eventualmente con i mezzi di cui sopra.

In questo senso l'assenza di vincolo di mandato è uno strumento necessario per permettere a ciascun eletto, a qualsiasi livello, di fare del suo meglio per il bene comune. Anzi, se il politico di turno si dovesse adagiare sempre su decisioni altrui (del partito) sarebbe anche molto meno stimolato ad approfondire, discernere, studiare, informarsi, pensare.

Ovviamente non è sempre così: ci sono anche quelli che si approfittano di questa libertà. Però, visto che non è possibile entrare nella testa della gente e fare il processo alle intenzioni, credo che sia uno scotto da pagare per garantire a tutti la libertà di coscienza. Questa è anche la libertà di scegliere la propria strada, di scegliere tra il bene o il male, che man mano che passa il tempo reputo sempre più il vero diritto umano fondamentale, connaturato al dono divino del libero arbitrio.

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