sabato 25 agosto 2012

Ho capito, ma speriamo di no

Da quando ho l'età della ragione sento dire che l'Italia ha bisogno di riforme.

Ho l'età della ragione da quasi vent'anni, e continuamente sento questa lamentela. Qualche giorno fa l'ha detto anche Moody's.

Mi sembra ovvio che c'è qualcosa che non va. Ho sempre pensato che è perché in Italia le riforme non si fanno. Michele Ainis sul Corriere fa un eccellente esempio di riforme non fatte e procrastinate sine die.
C'è del vero in questo punto di vista, ma solo in piccola parte, se allarghiamo l'orizzonte temporale. Negli ultimi vent'anni infatti si sono approvate un bel po' di riforme:

  • alcune riforme delle pensioni (da Dini più numerosi aggiustamenti, fino a Maroni e Fornero);

  • il pacchetto Treu e la legge 30 per il mercato del lavoro;

  • innumerevoli riforme e controriforme dell'istruzione (praticamente una per ministro);

  • due riforme (finora) della legge elettorale nazionale, la prima delle quali (il Mattarellum del 1993) particolarmente rivoluzionaria;

  • una modifica radicale in senso maggioritario di tutte le leggi per le elezioni amministrative di ogni livello;

  • la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha decentrato in modo non trascurabile il potere verso le Regioni (si pensi solo alla sanità);

  • per non parlare di una lunga serie di privatizzazioni, che non sono riforme in senso stretto ma "riformano" il sistema economico nazionale


e altre che senz'altro scordo.
Manca, è vero, una riforma della giustizia, ma bisogna dire che a fine 1989 entrò in vigore il nuovo Codice di procedura penale, anch'esso di importanza epocale.

Allora, le riforme ci sono ma siamo sempre qui ad invocarne altre? Pare proprio di sì. Pensandoci su, in questi giorni, ho cercato di capire perché succede questo curioso fenomeno. Secondo me può essere dovuto a due fattori.

Intanto, può essere che le riforme siano fatte male: penso a quelle dell'Istruzione, fatte con la scure ideologica, tanto che ogni governo ritiene di dover cambiare la riforma precedente, o l'ultima riforma elettorale, fatta per evidenti interessi di parte. Cattive riforme, dunque.

Ma credo anche che in Italia abbiamo l'innata capacità di rendere cattive tutte le riforme che ci capitano. C'è la tendenza al "fatta la legge, trovato l'inganno" per continuare a perpetrare le storture che ogni riforma tenta di correggere, o addirittura a sfruttare ogni piega delle riforme per infilarsi e trarne il massimo vantaggio, spesso indebito. Ecco allora che delle riforme, invece che la parte virtuosa, emergono i meccanismi scellerati, i punti deboli, i cavalli di Troia per l'abuso sistematico.
Questo vale sia a livello pubblico che privato: pensiamo all'abuso della spesa sanitaria regionale negli ultimi 10 anni, per il pubblico, ma anche all'abuso delle varie forme contrattuali da parte delle aziende (falsi contratti a progetto, eccetera).

E' colpa delle leggi scritte male? Qualche volta sì, e ho il sospetto che qualche "buco" in cui si infilano i furbetti sia figlio dei mille compromessi dell'iter parlamentare. Però credo che non si possa scrivere una legge che normi perfettamente tutto nei minimi particolari: ci sarà sempre qualche caso scoperto. Lì sta al senso civico degli utenti (leggi: cittadini) e alla loro onestà intellettuale il non approfittarsene. Che invece da noi sembra lo sport nazionale.

Un altro pensiero che mi veniva leggendo questo interessante articolo è che le riforme attese e sempre mancate sono quelle in cui la macchina statale riforma sé stessa. Una riforma della burocrazia, del "peso" dello Stato. Ma come accade con i partiti, la cosa pubblica non sembra in grado di autoriformarsi (forse perché bisognerebbe toccare tante rendite di posizione di tanti statali, ministeriali, pubblici dipendenti che in queste pastoie ci campano).

E ciò è grave, perché se lo Stato non si riforma da sé non c'è nessun altro che possa farlo.

Ecco, questa è l'idea che mi sono fatto sulla (mancanza di) riforme in Italia. Spero di aver capito male...

Nessun commento:

Posta un commento