sabato 14 aprile 2012

Eterogenesi dei fini?

Qualche riflessione sul fondo di Angelo Panebianco sul Corriere di inizio settimana.

Panebianco riprende l'allarme del Presidente Napolitano (che Dio ce lo conservi) sui rischi per la democrazia connessi all'ondata di antipolitica che soffia forte in questi ultimi anni.
Si consideri la contestuale presenza di tre elementi. In primo luogo, una crisi economica destinata a durare a lungo, per anni probabilmente, con tanti giovani disoccupati e l'impoverimento di molte famiglie. In secondo luogo, una condizione di generale discredito dei partiti e della classe politica professionale. Infine, l'incapacità di quella medesima classe politica di trovare rimedi adeguati per la crisi di legittimità che l'ha investita. È la sinergia fra questi tre fatti che può provocare conseguenze devastanti.

Anche io mi sono trovato a riflettere sulla situazione, e a chiedermi se possono esistere rischi per la democrazia, in parallelo con altre situazioni in cui si è cercato l'"uomo forte". Devo dire che nella mia testa tendo a considerare la democrazia come qualcosa di acquisito, di irreversibile, quindi le mie riflessioni assumono il carattere di un esercizio teorico, quasi una distopia.
Mi chiedo d'altra parte se ciò non fosse vero anche in altri posti e in altre circostanze che poi hanno visto invece evoluzioni diverse (tipo le dittature militari degli anni '70), e se non debba quindi tenere in maggior conto gli avvertimenti di chi ne ha viste più di me, come Napolitano, che ricorda anche periodi più bui della storia europea.

In effetti i nostri partiti ce la stanno mettendo tutta per perdere credibilità e rendersi inutili alla faccia della gente. Il gradimento di cui gode Monti fa sì che sorga la tentazione di considerare auspicabile una sospensione della politica. Un mio collega dice che si dovrebbe fare sempre come ora, e si chiede "Ma non possiamo fare a meno di andare a votare, e tenerci Monti? Dobbiamo proprio farle le elezioni?". Un altro mio amico, chiacchierando, mi dice: "Il suffragio universale è stato un errore madornale", pensando al fenomeno Lega e alla degenerazione populista della ricerca del consenso.
Tutto questo non si spiega, secondo me, con una minore voglia di democrazia (il successo dei referendum è lì a dimostrarlo), ma con una ricerca di qualcosa di meglio di ciò a cui ci hanno abituati i politici  negli ultimi anni (decenni?). Per questo il governo dei "tecnici", dei "competenti" vince facile nel gradimento: si percepisce almeno l'immagine di gente che vale, che ne sa. La degenerazione di questa ricerca è nell'auspicare un "governo degli ottimati".

Invece la risposta all'antipolitica non può essere meno politica, ma una politica migliore. Sono d'accordo che è difficile che i partiti si riformino dal loro interno, come dimostrano le mille resistenze, e che ci voglia una profonda piazza pulita. Io sarei favorevole persino a una ineleggibilità coatta per chiunque abbia già ricoperto incarichi elettivi pubblici: una soluzione drastica. Per fare posto però a una nuova classe di politici, non a "uomini forti", decisionismi di pochi o chissà che altro.

Invece mi sembra che le soluzioni proposte da Panebianco non scongiurino per nulla i rischi per la democrazia.
Panebianco propone l'abolizione tout court del finanziamento pubblico ai partiti. Così facendo, dice bene Casini, farebbe politica solo Berlusconi, come in Russia, dove gli oligarchi sono tutti miliardari. Io sono favorevole a rimborsi elettorali ai partiti, che siano sempre rimborsi a pié di lista (a fronte di spese documentate) e sempre trasparenti fino all'euro, con la certificazione dei bilanci e soprattutto la loro pubblicazione on line. Certo la bozza presentata ieri non è minimamente sufficiente: non si toccano gli importi e non si impone - soprattutto - nessuna giustificazione a quelli che dovrebbero essere rimborsi a fronte di spese effettuate.

L'editoriale propone poi il cancellierato o il presidenzialismo. Io continuo a pensare che per snellire i processi decisionali sarebbe sufficiente riformare i regolamenti delle Camere e semmai ritoccare il bicameralismo perfetto, mentre quando mi si propone di aumentare i poteri del governo mi si accende sempre una spia rossa.
Sono d'accordo se si tratta di rendere più forte il premier nei confronti del suo governo, per esempio concedendogli il potere di nomina e revoca dei ministri, ma non sono proprio dell'idea di rafforzare l'esecutivo nei confronti del Parlamento: la separazione dei poteri è sempre da maneggiare con cautela, e tutti i rischi per la democrazia, da che mondo è mondo, vanno assieme alla perdita di questa separazione.

La nostra Costituzione, che è senz'altro migliorabile, è stata scritta dopo un periodo di dittatura e con l'attenzione a cercare di evitare il più possibile di lasciare spazi ad autocrati. Credo che scongiurare i rischi per la democrazia andando a ritoccare questi anticorpi sia una contraddizione, che potrebbe portare - in ipotesi, come ho specificato all'inizio - a conseguenze ben diverse da quelle auspicate.

Sono comunque proprio curioso di vedere cosa succederà nel 2013. Lo scenario si presta a un "uomo nuovo", se non "forte", ma il rischio è che questi - come nel 1994 - vinca con il populismo. A questo punto preferirei tenermi un Monti in modalità Grande coalizione, che sarebbe il meno peggio. Sempre che la situazione economica - visto che tagli alle spese non se ne vedono, e quindi i conti non miglioreranno - non ci costringa a una specie di "commissariamento" europeo. Staremo a vedere.

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