mercoledì 18 gennaio 2012

Io sto con il comandante

Di oggi le polemiche sulla scarcerazione del comandante Schettino, ora a casa agli arresti domiciliari.

Io non avevo capito perché fosse in carcere. Schettino è un innocente fino a prova contraria, secondo ogni stato di diritto che si rispetti, cioè fino a regolare processo (che non è quello di Vespa, è quello dei giudici). La carcerazione di un innocente (carcerazione preventiva) si dà solo in tre casi: pericolo di fuga, possibilità di inquinamento delle prove, eventualità di reiterazione del reato.

La reiterazione del reato in questo caso è buona solo per le barzellette, visto che a Schettino non daranno in mano nemmeno un canotto, d'ora in poi.

L'inquinamento delle prove è secondo me escluso: c'è una prova di 252 x 35.5 x 52 metri adagiata sul fondale del Giglio, con una scatola nera già in fase di analisi, telefonate registrate e via dicendo.

Il pericolo di fuga, sempre secondo me, non è realistico fin dall'inizio, e comunque sarebbe bastato ritirare il passaporto. Schettino non è un malvivente abituato alla latitanza, non ha appoggi all'estero, covi dove nascondersi, facilità di procurarsi documenti falsi e via discorrendo: anche se fosse fuggito, senza passaporto, l'Interpol l'avrebbe ripescato in due giorni, e avrebbe aggravato la sua posizione. Men che meno adesso c'è pericolo di fuga, visto che avrà stuoli di giornalisti appostati intorno a casa...

Se presumiamo che comunque ci sia il pericolo di fuga, allora è una condizione così vaga che potrebbe essere applicata a tutti.
In effetti sembra che la legge sia volutamente ambigua, nel tracciare i confini: per permettere ai giudici di "giostrare" le decisioni a seconda dei casi. Questo ha in sé un germe di ragionevolezza (affidare un minimo di discrezionalità al giudice stesso), ma cozza contro il diritto: si sta parlando di una possibilità di arbitrio nel togliere la libertà a un presunto innocente, o anche a un colpevole conclamato come in questo caso, senza processo, magari per assecondare l'umore della piazza.
Io non sono contrario a priori all'istituto della carcerazione preventiva, mi rendo conto che in alcune occasioni sia utile e necessaria, ma credo che si debba ridurre e soprattutto circostanziare meglio, in modo da garantire la certezza del diritto. E nei casi dubbi, in dubio pro reo.

Poi mi tocca leggere cose come queste sulla scarcerazione, a firma di Mario Sechi sul Tempo (sì, uno di quelli che quando i parla di certi politici inalbera la bandiera del garantismo):
"c’è un Paese che attonito guarda questo glaciale spettacolo e oggi si chiede: com’è possibile che il comandante non sia chiuso in cella? Questo surreale epilogo è un tradimento del senso di giustizia."

Il senso della giustizia viene tradito se non si rispettano le procedure e i diritti al giusto processo, come in ogni Paese civile. E non manca la solita excusatio non petita seguita dall'immancabile proposizione avversativa:
"Non sono tra quelli che pensano che il diritto si applichi ascoltando la folla urlante, ciò è lontano dalla mia cultura, ma è francamente difficile arrivare a comprendere una decisione che avrà pure il suo fondamento giuridico, il suo codicillo che calza a pennello, ma stride con la realtà, la portata immane della tragedia, il lutto e il dolore di chi ha perso tutto e non riavrà l’amore dei propri cari."

Questa è come le frasi che iniziano con "io non sono razzista, però..." e seguono le più becere affermazioni razziste: la seconda proposizione nega con evidenza la prima. Infine:
"Il vero abisso l’abbiamo toccato ieri, quando qualcos’altro è naufragato sinistramente: la fiducia."

La fiducia io la perdo quando vedo la giustizia lenta, ingiusta, spettacolarizzata, non quando si ripara un torto.

Non capisco come sia possibile che non si veda come il rispetto delle regole debba essere garantito per tutti, e come la libertà sia un bene così prezioso da richiedere un rispetto ancora maggiore delle stesse. Quel che oggi capita a Schettino domani potrebbe capitare ad altri.

Ovviamente non sono cieco, vedo anch'io la conclamata colpevolezza del capitano. Egli è colpevole come minimo di essere stato inadeguato al suo ruolo, di cui porta la responsabilità, e come massimo di aver deliberatamente compiuto atti pericolosi per futili motivi. Spetterà però ai giudici, e solo a loro (cioè non ai giornalisti, ma nemmeno ai PM), stabilire quanta colpa porta. E l'equilibrio di tutte le procedure è - deve essere - garanzia per tutti: per il pubblico, per il comandante, per le famiglie delle vittime.

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