mercoledì 23 novembre 2011

Cittadinanza

Hanno fatto discutere le parole di ieri di Napolitano, secondo cui sarebbe "folle" non considerare italiani i figli di immigrati nati in Italia. In pratica, un richiamo allo ius soli.

Io non sono così d'accordo. Meglio: è un'opinione legittima, ma non credo che sia scontato che sia giusta.
Personalmente sono legato a un'idea di cittadinanza che va oltre le considerazioni pratiche del "no taxation without representation" (che riguarda, più che la cittadinanza, il diritto di voto) o del "lavorano in Italia, contribuiscono alla crescita, ringiovaniscono la popolazione".

Io sono più legato a un'idea romantica della cittadinanza, come comunanza di sensi, afflato patriottico, idem sentire. Io sento forte, specialmente nel 150° anniversario dell'Unità, che gli italiani sono i figli dei padri che hanno lottato per farla, l'Italia, dal Risorgimento al Piave, dal Don alla Resistenza fino alle rimesse da Marcinelle. Questi padri affidano ai figli l'Italia che hanno costruito.
Per dirla con Manzoni, un'Italia "una d'arme, di lingua, d'altar / di memorie, di sangue, di cor". Lasciando perdere l'altare, ossia la religione, che oggi non può essere una discriminante per diritti civili, è più italiano un emigrato in Brasile che parla ancora l'italiano e si informa sui siti internet nazionali o un immigrato, o un figlio di immigrati, che l'italiano non lo parla? Ce ne sono che seppure nati in Italia arrivano in seconda o terza elementare con enormi difficoltà linguistiche. Per lo ius soli sarebbero già cittadini italiani, ma è giusto?
Anche il richiamo all'"arme" è significativo. Io mi sono sentito un po' "in colpa" quando la leva è stata abolita, e mi sento un po' colpevole quando parlo con chi l'ha fatta. Loro hanno "servito la Patria", io posso servirla solo pagando le tasse. Non dico che bisognerebbe rimettere la leva, né la vorrei fare, ma inconsciamente mi sento debitore di qualcosa.

Tutto ciò è retorico? Certo. Ma il fatto che ciò sia retorico, lo rende automaticamente falso? Si può sostenere di non essere d'accordo, ma non credo che si possa bollare come un approccio insensato, "folle".
Non pretendo che si sia pronti a morire per la Patria, non tutti siamo chiamati ad essere martiri o eroi. Ma per un italiano l'Italia deve venire indiscutibilmente al di sopra di ogni altra patria.
Andiamo più sul prosaico, per esplicitare ancora meglio il concetto: consideriamo il tifo per la Nazionale. Secondo me una persona che in una eventuale gara sportiva tra Italia e il suo Paese d'origine facesse il tifo per il secondo non è italiano.

Inoltre non capisco bene la necessità di avere la cittadinanza italiana per uno straniero: i diritti personali sono comunque garantiti. C'è il problema del diritto di voto, ma quello potrebbe essere slegato dalla cittadinanza (io sono contrario, perché per me il voto è la partecipazione e la responsabilità nei confronti della Patria, ma capisco l'obiezione pratica del principio no taxation without representation).
Si possono snellire le pratiche per la richiesta di cittadinanza con i requisiti attuali, garantire risposte in tempi certi, facilitare l'acquisto di permessi di soggiorno per chi permane regolarmente in Italia per qualche anno (diciamo che dopo 5 anni si potrebbe introdurre un permesso quinquennale, dopo 10 anni per chi non fa richiesta di cittadinanza un permesso decennale e così via). Si possono attuare tante cose, ma con lo ius soli nudo e crudo non sono d'accordo.

I nati in Italia potranno, per esempio, fare richiesta di cittadinanza - come tutti: già oggi dopo 10 anni di residenza senza precedenti penali si può fare richiesta - al compimento del 18° anno di età, e magari vedersela riconoscere in automatico. Ma che un neonato figlio di stranieri sia italiano non mi pare giusto.

Nessun commento:

Posta un commento