venerdì 10 giugno 2011

Referendum - Schede 1 e 2

Schede 1 e 2, sull'acqua (e non solo).
Queste sono secondo me quelle più complicate.

Il primo quesito chiede di abrogare una serie di norme che non riguardano solo l'acqua ma tutti i servizi pubblici. Queste norme impongono una sorta di corsia preferenziale per il privato nella gestione di questi servizi. In particolare:



  • se il Comune affronta una gara ad evidenza pubblica, il servizio viene assegnato ovviamente a chi vince la gara, a cui possono partecipare soggetti privati, misti pubblico-privato e anche pubblici;


  • se il Comune sceglie di non fare una gara ad evidenza pubblica, l'azienda (di solito municipalizzata) deve cedere una quota di almeno il 40% ai privati. Questa quota cresce ad almeno il 60% per le aziende quotate in Borsa.


Sul fatto che alla gara possano partecipare anche soggetti completamente pubblici ci sono dubbi. Giovedì sera all'incontro organizzato dall'Interassociativo si sosteneva di no, che ci debba comunque essere il 40% di privato. Qui (nel primo commento è detto esplicitamente), qui e nella solita guida si dice invece di sì.
Per non saper né leggere né scrivere, riporto la norma che si vorrebbe abrogare (art. 15 legge 166/2009, in modifica all'articolo 2 della 133/2008):



  • Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:


  • a)   a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;


  • b)   a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi  alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.


Per come la leggo io, mi sembra chiaro che l'obbligo di privato al 40% (che tra l'altro comunque è minoritario: sceglierà il Comune se vuole farlo diventare maggioritario vendendo più quote, ma non c'è l'obbligo) esiste solo se non si fa la gara.
Quindi le società pubbliche hanno la possibilità di mantenere il controllo partecipando alle gare e vincendole, favorite dal fatto che non hanno fini speculativi e quindi possono tenere tariffe più basse (e favorite dal fatto che chi scrive il bando di gara è il Comune...). I privati, in teoria, possono competere solo promettendo maggiore efficienza o minori costi (la qual cosa può anche non essere un bene).
Tra l'altro, anche se la mia non fosse un'interpretazione corretta, la legge prevede comunque che alla prima gara possano comunque partecipare le aziende uscenti, in ogni condizione (quindi anche completamente pubbliche). L'assegnazione di un bando come i servizi idrici (e tutti gli altri servizi pubblici, rammentiamolo!) non può avere durate brevi: a me piacerebbero 5 anni, ma non sarà meno di 10, in alcuni casi anche 20 anni, perciò per almeno 10 anni la situazione può comunque restare com'è, e nel frattempo ne passa di acqua sotto i ponti e di leggi in Parlamento...
Senza contare che in casi particolari si può richiedere una deroga e mantenere la gestione pubblica al 100% senza passare dalla gara.

Non trovo quindi motivi evidenti per abrogare questa legge: la legislazione precedente, del 1994, dà comunque la possibilità ai Comuni di ricorrere ai privati, ma senza obblighi né di gare né di compartecipazione. In 17 anni questa opzione è stata esercitata solo nel 3% dei casi. Perché? Il sospetto è che non ci si voglia privare di utili carrozzoni che garantiscono alla politica posti da occupare e da promettere. Inoltre, un ingresso dei privati porta inevitabilmente - questo dobbiamo dircelo - a un aumento delle tariffe, visto che le spese non possono essere coperte con altri introiti (leggi: tasse), e quindi si rischia l'impopolarità.

Ma allora perché affidare l'acqua al privato?
Intendiamoci: ho ben chiaro il concetto di "bene comune" e anche qui non mi nascondo dietro un dito: è vero che la proprietà resta pubblica, ma la gestione privata abdica un po' a questo concetto. Se fossimo in Africa, senza strutture di controllo e in penuria d'acqua, non esiterei a votare SI' e a oppormi a queste leggi. Ma siamo in Italia: credo che ci possano essere delle garanzie sufficienti di controlli incrociati per evitare le speculazioni più grossolane e i rischi connessi.
Penso che se il pubblico avesse lavorato bene non ci porremmo nemmeno il problema, ma siamo soddisfatti della gestione pubblica? Io no: abbiamo acquedotti che fanno letteralmente acqua da tutte le parti. Le statistiche ISTAT dicono che per 100 litri di acqua immessa nella rete ne arrivano a destinazione solo 53, con picchi negativi in Puglia (dispersione all'87%) e Sardegna (85%). Secondo me questo è un problema grave, e non mi sento di dire, come Mario Tozzi nell'articolo che ho citato anche ieri, che sostanzialmente non fa nulla. Mi sembra una posizione diseducativa da parte di un ecologista, che dovrebbe aborrire gli sprechi. E' vero che l'acqua dispersa comunque rientra in circolo, ma estrarla, depurarla, distribuirla ha avuto un costo: chi paga?
Ebbene, per sistemare la rete idrica servono investimenti: si sentono numeri di ogni genere, ma sempre sopra i 60 miliardi di euro. Il pubblico non li può mettere, non li ha. Il privato, tanti privati nelle varie ATO, potrebbero fare la loro parte.
Altro esempio: una parte delle perdite, così alte nel Mezzogiorno (altro che colpa dell'agricoltura, come dice Tozzi! Le regioni agricole sono quelle a dispersione più bassa), sono dovute ad allacciamenti abusivi alla rete. Il pubblico ha interesse a farseli pagare? Sì, tanto interesse quanto ad andare ad abbattere le case abusive: si perdono voti. Il privato avrebbe l'interesse senza nulla da perdere.
Quindi se si vuole far entrare un po' di privato bisogna dargli una spintarella legislativa, perché con la legislazione previgente i gestori non avrebbero interesse a rinunciare alla loro posizione.

Si dice: ma dove c'è il privato aumentano le tariffe, anche di molto! Anche qui bisogna guardare dentro le cifre: una parte delle tariffe crescono perché il privato per coprire i costi deve usare solo la tariffa, mentre il pubblico spesso ne copre una parte con la fiscalità generale (cfr. questa spiegazione, al punto "Con i privati acqua più cara?"), pur di tenere bassa la bolletta. Questo non è giusto, perché chi le tasse le evade in pratica si trova l'acqua gratis. Non è più equo pagare al consumo? Tanto più che anch'io - al pari di questa interessante posizione - da anni penso che il prezzo dell'acqua abbia la possibilità di aumentare. Ci sarà un motivo per cui, sempre secondo i dati ISTAT, consumiamo l'8% di acqua pro capite in più rispetto alla media europea.
 
Il tema dei costi introduce il secondo quesito: questo vuole eliminare "l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito". Qui è chiaro: attualmente il modello di calcolo delle tariffe è impostato su un 7% di guadagno forfettario, si chiede di portare questo guadagno a 0.
Su questo punto ci sono valutazioni contrastanti. Da una parte, il 7% slegato da alcun obbligo di investimento è un rendimento garantito alto, troppo alto. D'altra parte, se uno fa invece investimenti (a questo dovrebbe servire la quota di pubblico nelle società miste, a stimolare gli investimenti...) deve poter pagare gli interessi sui mutui, e a questo serve un guadagno. E questo vale anche per il pubblico. Però il 7% è più dei bond portoghesi... ma senza guadagno il privato non entrerà mai, e via discorrendo.

Il problema dei referendum come istituto è che questo brano della legge andrebbe solamente corretto (abbassando il 7%, o vincolandolo agli investimenti), mentre il referendum chiede praticamente: o 7% o nulla.

Ecco che la mia posizione personale si fa articolata: voterò un NO e un SI'.
Il NO va al primo quesito: sono favorevole a favorire l'ingresso dei privati nell'acqua (e - non dimentichiamolo - negli altri servizi!), senza escludere per forza il pubblico. Il SI' va al secondo quesito: il 7% mi sembra obiettivamente troppo. Questa posizione è da leggere in coppia: non voto SI' al secondo quesito per escludere i privati, cosa che dimostro votando NO al primo, ma per stimolare a cambiare la legge.

Potrei anche votare all'inverso, SI' al primo e NO al secondo, lasciando quindi il profitto per attrarre privati e imponendo una gara secondo le norme europee, che entrerebbero in vigore con la vittoria del primo referendum. Però in questo modo mi terrei una gara non obbligatoria, e come ho già detto non credo che i concessionari attuali mollerebbero l'osso...

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