domenica 26 settembre 2010

Parole sante

Trovo solo ora il tempo di commentare due pezzi interessanti. Sul Corriere di venerdì 24 Pietro Ostellino espone un'analisi sull'insipienza della classe politica e dell'attuale momento, ampliando poi il discorso a toccare l'intero processo storico degli ultimo quindici anni, con la comparsa del berlusconismo e dell'antiberlusconismo. Non condivido al 100% l'articolo, ma è molto, molto interessante.

Si legge, di fondo, un'eco di scoramento, di disillusione sulle effettive potenzialità riformatrici di Berlusconi:
"L’inconsistenza della cultura politica nazionale è l’autentica cifra del centrodestra; ne condiziona la capacità di dar vita al cambiamento promesso, e mai attuato, e di produrre «politiche» davvero modernizzatrici. È anche l’indotto delle corporazioni, degli interessi organizzati, ai quali il suo leader è tutt’altro che insensibile. [...] La diffusione di una cultura politica autenticamente liberal-democratica è bloccata perché metterebbe a rischio gli interessi corporativi dell’establishment intellettuale."
E dà, forse, una risposta a quel che mi chiedevo nel precedente post: cosa aspettano a governare davvero? C'è un'autoreferenzialità di fondo nella classe politica, scollata dalla realtà e presa molto più dal Palazzo e dagli amici del Palazzo che da quella stessa realtà.

L'analisi è ancora più spietata qualche riga sotto:
"Il popolo di destra e quello di sinistra [...] vivono una realtà «virtuale» rappresentata, per il popolo di centrodestra, dalle (continue) promesse e dalle (inespresse) virtù taumaturgiche del capo; l’altra, per il popolo di centrosinistra, dalla sua demonizzazione." 
In pratica non c'è via d'uscita... Per il centro destra la realtà virtuale, aggiungo io, è creata dal tubo catodico. Il centro sinistra ha una realtà virtuale di riflesso, alimentata da giornali come Repubblica, che francamente mi sembra scaduto moltissimo in faziosità negli ultimi anni.

Inutile dire che l'anomalia segnalata, fin qui, è molto legata alla presenza di Berlusconi. Aspetto con curiosità di vedere cosa succederà alla sua scomparsa (politica), cosa accadrà di un quadro politico e persino civile che lui ha comunque segnato profondamente e contribuito a cambiare radicalmente degli ultimi vent'anni, e secondo me non in meglio.

Ma anche la fine del berlusconismo può non essere la soluzione di tutti i mali della sinistra, e qui mi ricollego al fondo di Luca Ricolfi, su La Stampa, che concentra l’attenzione sul Pd e sul documento dei veltroniani. Stavolta credo che potrei citare in toto l'articolo, senza distinguo. Qui lo interpreto un po' aggiungendoci del mio.
Il Pd ha due problemi:


  1. l'antiberlusconismo, di cui dice anche Ostellino;


  2. la sindrome dell'opposizione.


Anche per ascendenze storiche, infatti, i democratici sono molto più usi a fare opposizione che non maggioranza, e il manuale del bravo oppositore dice che i provvedimenti di chi governa sono sempre sbagliati, anche quando sono giusti. Questo vale per tutte le opposizioni, ma il Pd (e i DS e via risalendo) lo fanno storicamente da più tempo.
A questo proposito Ricolfi cita tanti temi (questione meridionale, legalità, scuola, università), tutti campi di battaglia belli, buoni e su cui le politiche messe in campo possono migliorare, ma su cui il Pd manca completamente di riconoscere i meriti al governo anche laddove ci sono, per i motivi 1 e 2 di cui sopra.
E non sarà togliendo di mezzo il motivo 1 (=Silvio) che certe cose da lui fatte (tra le poche...) diventeranno sbagliate o cesseranno d'essere giuste: bisognerà riconoscerne la necessità togliendo dall'orizzonte anche il motivo 2, l'opposizione a priori, e non si potranno smontare certi provvedimenti anche se e quando il Pd sarà al governo.

Per qualche esempio, cito:
"bisogna avere il coraggio di riconoscere un’altra immagine dell’Italia, di esplicitare un’altra diagnosi dei nostri mali. Una diagnosi in cui, ad esempio, non si abbia timore di indicare i lussi che non possiamo più permetterci: andare in pensione a 60 anni, spendere 100 per servizi che potremmo produrre con 70, stabilizzare centinaia di migliaia di precari per mantenere il consenso politico ai governanti, di destra o di sinistra che siano. [...] Ad esempio, che la spesa pubblica va ridotta ancora di più di quanto abbia fatto Tremonti, altrimenti non abbasseremo mai le tasse sui produttori. Che il lavoro che fanno Brunetta e Gelmini in materia di pubblico impiego può essere fatto meglio, forse molto meglio, ma comunque va fatto. Che il Mezzogiorno non può continuare ad assorbire risorse che non produce, se non altro perché i quattrini sono finiti. E che, sulla mafia, quel che ci auguriamo è che un futuro governo di centro-sinistra non faccia rimpiangere Maroni."

Parole sante.

P.S. Ho parlato male di Repubblica. Per avere un esempio di giornalismo schierato ma non fazioso, leggete www.lavoce.info. Il responsabile è Tito Boeri, economista di area centrosinistra, l'economista preferito di Ballarò. Gli articoli non sono mai teneri con le politiche del governo, ma quando ci vuole si scrivono anche cose come questa.

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