giovedì 29 giugno 2023

La politica migratoria del governo Meloni

Avevo già citato, mi pare, questo dato: il governo Meloni è quello che vede il minor numero di morti in mare rispetto alle partenze. L’articolo di Pagella politica risale a qualche mese fa, oggi il rapporto è leggermente peggiorato (dovremmo essere attorno all’1,3%), ma resta sempre il valore più basso dall'inizio della crisi migratoria con la guerra in Siria.
Questo a fronte di un numero di sbarchi (ufficiali, senza contare quelli “ufficiosi”) che resta il più alto da prima degli accordi di Minniti del 2017.

Un fallimento, quindi, rispetto a quanto detto in campagna elettorale. Il "blocco navale"...

Però Giorgia Meloni si sta muovendo in Europa, e nel discorso di ieri alla Camera in vista del Consiglio europeo ha detto che sta lavorando per una soluzione “strutturale”.

All’inizio del mese c’è stato un primo accordo sulla riforma del trattato di Dublino.
La strategia del governo è abbastanza chiara.
Tutti gli appelli a una redistribuzione degli immigrati tra Paesi europei non hanno mai avuto successo, con nessun governo, da Renzi al Conte I a Draghi.
Il trattato di Dublino, che nominalmente lascia il peso dell’accoglienza ai Paesi di primo arrivo, è troppo vantaggioso per i Paesi del nord Europa. I quali, a loro volta, possono puntare il dito sui movimenti “secondari”, formalmente vietati ma attraverso cui, a lungo andare, gli immigrati “filtrano” verso le loro destinazioni: perché allora facilitarli fin dall’inizio?
A questo si aggiunga la contrarietà a ogni solidarietà da parte dei Paesi cosiddetti “di Visegrad”, tra cui molti alleati dell’attuale governo.

La Meloni ha quindi rinunciato all’idea di cambiare Dublino in senso solidaristico, e si sta concentrando su una cosa su cui tutti possono essere d’accordo: la difesa delle frontiere esterne.
In particolare, la bozza di accordo a cui accennavo prevede:

Fra le novità principali del testo validato dal Consiglio c’è la creazione di una nuova procedura rapida da mettere in pratica direttamente nei Paesi di primo arrivo dei richiedenti asilo, da applicare quando si verifica un attraversamento illegale del confine o un soccorso in mare. La procedura verrebbe utilizzata in particolare per i richiedenti asilo con una nazionalità per la quale il tasso di accettazione delle domande è inferiore al 20%. Il Paese di provenienza, quindi, conterebbe più della storia del singolo migrante, che in caso di esito negativo della procedura verrebbe immediatamente respinto. […]

I richiedenti asilo respinti verrebbero poi inviati in Paesi terzi considerati “sicuri”, lasciando però a ogni stato membro la possibilità di stilare la propria lista di Paesi “sicuri”.

Quindi si introduce il concetto di “Paese terzo sicuro”.
Nel suo discorso alle Camere, Giorgia Meloni ha parlato spesso di Tunisia, dove è stata in visita più volte portando anche Ursula Von der Leyen. Appare chiara l’intenzione di individuare la Tunisia come “porto sicuro”, magari dietro lauto compenso: il presidente del Consiglio si è speso per far avere un ingente pacchetto di aiuti a Tunisi, e l’accordo prevede anche un fondo europeo per la gestione delle frontiere.

L’articolo dell’Atlante Treccani riporta le perplessità tedesche rispetto a questi potenziali respingimenti, ma alla fine i tedeschi hanno dovuto ingoiare il rospo.

Anche Elly Schlein si è accorta di questa intenzione, denunciandola nel suo discorso durante l’ultima direzione PD:

un compromesso a ribasso che impone controlli accelerati alle frontiere italiane, anche per i minori, strappando la possibilità di esternalizzare le frontiere con Paesi terzi da definire, alla bisogna e in modo discrezionale, Paesi sicuri per i rimpatri.

Magari come la Tunisia, che versa in una crisi economica, sociale e democratica profonda, eppure vediamo con quale impegno il governo italiano cerchi di replicare l’orrore cinico dell’accordo con la Turchia di Erdogan dei 6 miliardi per evitare le partenze.

Se ricordiamo, già in campagna elettorale Giorgia Meloni aveva proposto un video in cui diceva che con il famoso slogan del “blocco navale” intendeva una missione europea.

Sta tessendo la sua tela in questa direzione.
Resta tutto da vedere se ci riuscirà, ma in effetti credo che, per i motivi di cui sopra e vista l’estrema impopolarità presso l’opinione pubblica di tutti i Paesi di politiche migratorie accoglienti, sia l’unica strada realisticamente percorribile.

E comunque, probabilmente, inutile: ormai siamo tutti in un equilibrio disfunzionale per cui l’immigrazione è affidata a una sorta di darwinismo: chi ce la fa arriva, rimane, e a lungo andare poi resta e prima o poi emergerà dall’illegalità, magari sfruttando la foglia di fico del “decreto flussi” o riuscendo a arrivare da qualche parente in Germania o Francia.
Le partenze, a lungo termine, non si arresteranno di certo: è un fenomeno epocale.

Osservo però che il governo Meloni si sta muovendo, rispetto ai suoi obiettivi, con maggiore abilità e (banalmente) con più senso rispetto al precedente Conte I, quando Salvini teneva a mollo le persone infrangendo una serie di leggi e convenzioni e poi facendo comunque (ovviamente) sbarcare tutti.
Oggi le ONG sono limitate col “trucco” di assegnare porti lontani, che ha passato indenne il primo vaglio di un tribunale.

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