venerdì 7 giugno 2019

Ancora sui migranti

Proseguiamo sul discorso migranti.
Leggo che i vescovi del Lazio hanno scritto un messaggio per la Pentecoste.
Leggo le reazioni sul blog di Aldo Maria Valli, vaticanista piuttosto critico con l'attuale papato.
Prendo l'occasione per ricapitolare alcuni pensieri.

Il documento dei vescovi laziali non mi pare troppo politico. Intanto esce dopo le elezioni: se fosse uscito prima sarebbe stato ben più politicamente pesante (che è diverso da influente).
Certamente la lettura politica è chiara, ma è un documento politico nella misura in cui anche il Vangelo è politico, cioè riguarda - secondo i cristiani - anche la vita della polis. Perciò sono piuttosto stupito dalle reazioni dei sacerdoti.
Uno dice: "In quanto sacerdote in cura d’anime mi trovo in forte difficoltà a diffonderlo, perché è un documento di contenuto politico ed io, leggendolo davanti ai fedeli riuniti per la Santa Messa, mi troverei a servizio di uno schieramento politico, mentre ho dato la vita per il Signore, non per un partito". L'altro dice: "il messaggio dei vescovi del Lazio è politicamente strumentale e quindi illegittimo".
In passato ci furono altri interventi politici, su temi come le unioni gay, la difesa della vita, le scuole paritarie. Nessuno di questi interventi si schierava apertamente per un partito o contro un altro, come non fa anche il messaggio di domenica. Ma tutti quegli interventi - come questo - sostenevano posizioni appoggiate da una parte politica contro l'altra. Tutti interventi strumentali? Secondo me no: come scrivono i Vescovi, si tratta di promuovere valori "originati dalla Parola evangelica", sia allora che adesso.

Detto dell'opportunità politica, mi pare che ai sacerdoti spetterebbe soprattutto una valutazione religiosa del messaggio. Ci sono passaggi dottrinalmente problematici? A me pare di no: si sottolineano concetti che appartengono a pieno titolo al Catechismo, come la comune figliolanza di Dio, le esortazioni di Matteo 25, l'opzione preferenziale per i poveri (S. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis 42), l'altro come dono.
Mi sembrano parole ben diverse da quelle "a somiglianza di quelle proposte da Onu e affini": non so cosa abbia in mente quel sacerdote, non credo che l'Onu parlerebbe di figli di Dio, di discepoli del Risorto, di Spirito Santo.

Ma la parte che mi sembra più difficile da accettare è questa: "La dottrina cattolica ha sempre insegnato che esiste un ordo amoris, un ordine da dare all’esercizio del proprio amore. Un ordine che si può riassumere nell’espressione ‘prima i vicini e poi i lontani’, come sa bene qualunque padre o madre di famiglia, chiamati a occuparsi prima dei loro figli e poi eventualmente di quelli degli altri. Il comandamento evangelico dell’amore dice sì che bisogna amare tutti, ma, poiché non è possibile aiutare tutti, si deve provvedere soprattutto a quelli che Dio ha legato più strettamente a noi, come si può intuire pensando alla natura stessa di alcune relazioni, come quelle familiari ma anche quelle di amicizia, culturali, nazionali. Il documento dei vescovi del Lazio appare invece viziato da una visione ideologica improntata a demagogia."
Io sono un povero ignorante, ma mi pare che evangelicamente questa parte faccia parecchia acqua. Intanto - dal basso dei miei pochi studi di dottrina sociale - mi giunge nuovo il concetto di "ordo amoris", che si tradurrebbe in "prima i vicini e poi i lontani". Un'espressione che potrei riferire al senso comune, ma che non mi aspetterei riferita alla dottrina cattolica. Secondo me il prete qui fa confusione proprio perché legge il documento come se fosse una proposta di legge politica, e non un'esortazione apostolica.
I Vescovi hanno il dovere di insegnarci il Vangelo, non di adeguarsi al mondo, al suo "buon senso", alla sua fattibilità e ragionevolezza. La Chiesa ci invita a tendere al Regno di Dio su questa terra. A dare tutto. Aiutare i "vicini" è naturale, è un istinto, ma non c'era bisogno di Gesù per questo. Il Vangelo va oltre il ragionevole, il piccolo cabotaggio. Il Vangelo è quello di "Se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due". E' invito a donare tutti noi stessi per seguire Gesù, mettendo il prossimo anche davanti a noi stessi. La vedova, secondo la ragionevolezza, non avrebbe dovuto offrire nulla al tempio. Se il giovane ragazzo avesse ragionato come questo prete, "prima devo sfamare i miei vicini", non avremmo avuto la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Certo, è difficile. Ci vuole coraggio. Fanno bene i Vescovi a invitarci a queste mete così alte, quasi divine, che ci appaiono impossibili. Ma come cristiani sappiamo che tutto possiamo in Colui che ci dà forza.
Ecco che allora mi sembra sbagliato leggere nelle parole di un sacerdote che "non è possibile aiutare tutti". Per la nostra poca fede, non ci è possibile! Se avessimo fede, potremmo spostare le montagne, e -sì - anche moltiplicare i pani e i pesci e aiutare molta più gente di quella che pensiamo. E' nelle esperienze di tante Caritas, di tanti volontari, che i risultati eccedono di molto le aspettative. I sacerdoti devono ispirarci in questo senso, non in direzione contraria.

Anche san Giovanni Paolo II ricordava nel Messaggio per la giornata del migrante 1992 che è vero che il Catechismo invita ad accogliere gli immigrati "nella misura del possibile", ma (cito dal punto 3) "Anche se i Paesi sviluppati non sono sempre in grado di assorbire l’intero numero di coloro che si avviano all’emigrazione, tuttavia va rilevato che il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere solo quello della semplice difesa del proprio benessere, senza tener conto delle necessità di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità."
Dobbiamo stare ben attenti che quel passo del Catechismo non venga usato per giustificare la nostra mancanza di fede, l'incapacità di fare quel passo in più, il dono dei cinque pani e dei due pesci. Il Papa che veniva dalla Polonia aveva ben presenti le differenti condizioni di vita tra il suo Paese e l'Italia, e ci ammonì dicendoci che per una società ricca come la nostra "non ci riesco" non può diventare una scusa per chiuderci nella nostra torre d'avorio. La quale, per quanto scalcagnata, resta una torre d'avorio rispetto a chi ne è fuori: l'Italia ha all'incirca il PIL dell'intera Africa. E' così vero che "non possiamo aiutare tutti"?

Per fugare ogni equivoco, sia chiaro che io non desidero un'accoglienza indiscriminata. Se quello dei Vescovi fosse un documento politico, sarebbe per lo meno discutibile. Trovo giusto che i politici cerchino di porre limiti, e facciano i conti con le questioni economiche, la sostenibilità rispetto al nostro tenore di vita, anche il "buon senso" di chi vota. Lo trovo giusto perché lo Stato è laico e risponde prima di tutto ai suoi cittadini, che sono coloro che mettono risorse nel sistema. Un governo non può assumere acriticamente la posizione cristiana di fratellanza umana e fede in Dio, perché non può imporre una scelta cattolica a tutta la popolazione. Di più: rifiuto di pensare che un governo possa ritenere il flusso di immigrati "ineluttabile", come scrivono (secondo me male, sarebbe stato meglio scrivere "epocale") i Vescovi: sarebbe come rinunciare a priori a governare.
Quelle parole sull'"ordo amoris" le vedrei bene in bocca a un politico.

Ma da un prete e da un Vescovo, mi aspetto che noi cristiani siamo chiamati a fare quel passo in più, alla libera adesione a un'accoglienza il più aperta possibile, nel nome del comandamento dell'amore (non per le politiche del governo, che possono essere legittimamente diverse, quindi).
Da questo punto di vista il messaggio va nella giusta direzione.

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