mercoledì 16 maggio 2018

Tutto è connesso

Sabato c'è stato l'ultimo incontro di quest'anno di SFISP, con il professor Dario Nicoli. Nella stessa mattinata ho introdotto l'enciclica Laudato si' di papa Francesco. Dopo  quell'incontro, il mio cervello ha laboriosamente rimuginato una serie di ragionamenti che riporto di seguito.

Il professore ha fatto un intervento molto articolato, complesso.
A un certo punto ha detto che sognare è importante. Bisogna avere grandi obiettivi, non perdere la speranza.
In un altro passaggio invece ha detto che al giorno d'oggi, durante il percorso educativo dei fanciulli e dei ragazzi, tendiamo a dire loro che da grandi potranno fare quello che vogliono. "Fai della tua vita quello che ti piace! Fai quello che desideri!". Il professore ha stigmatizzato questo atteggiamento: la nostra vita non è fare quello che si vuole, ma sono le relazioni che abbiamo e che costruiamo.
Ho fatto fatica a mettere insieme queste due affermazioni.
Credo d'aver capito che l'idea sia di mettere insieme speranza e realismo, ma soprattutto evitare l'individualismo. Non possiamo pensare che la nostra vita si costruisca solo con quello che desideriamo noi, a dispetto di tutto e di tutti intorno a noi.

Il realismo fa anche sì che a volte apriamo gli occhi e ci accorgiamo che dobbiamo rinunciare a una parte dei nostri desideri per prenderci le nostre responsabilità. Rinunciare a un viaggio per stare vicino alla nonna malata. Rinunciare a iscriversi all'università per portare a casa qualche soldo perché la famiglia ne ha bisogno. Rinunciare a quello sconto allettante perché pagare in nero è evadere (letteralmente) dai nostri doveri civici.
Mi è tornato in mente un discorso che faceva un docente del corso di formazione sociale e politica che ho seguito. Lui parlava del matrimonio, e diceva una cosa controintuitiva: la Chiesa negli ultimi decenni ha troppo insistito sull'aspetto sentimentale del matrimonio, sull'amore. Si dice: "Ti amo, quindi ti sposo". Ed è giusto, giustissimo. Però dobbiamo anche avere presente che la parole "amore" è purtroppo molto varia. E' amore il sesso, l'amore fraterno, il romanticismo, la carità, l'eros e l'agape, l'amore di Dio, il sentimento e i film d'amore. Dire una cosa così può anche lasciar pensare: "Allora quando non ti amo più non siamo più sposati". Quel professore diceva che è necessario accompagnare al "Ti amo, quindi ti sposo" anche il contrario: "Ti sposo, quindi ti amo". Ti sposo, quindi mi impegno a costruire con te un progetto, a costruire un amore giorno per giorno, che cambierà e si modificherà con il tempo, ma che non per questo diventerà meno amore. E mi prendo la responsabilità di far sì che sia così.

Oggi la società del "tutto e subito" non ragiona certo in questa maniera. La progettualità e la responsabilità non si vedono nelle nostre vite; non si vedono nelle nostre relazioni consumate subito, perché ciascuno dei due "ha voglia", e bruciate appena a uno dei due - individualmente - "passa la voglia"; non si vedono nel fare figli; non si vedono in politica.

Allora è vero che, come ripete molte volte il Papa, tutto è connesso. Un certo modo di fare ha effetto sulla vita privata, sulla vita pubblica, sull'ambiente. Ogni azione non ha solo un effetto in sé stessa, ma anche perché contribuisce a formare una cultura comune, una cultura sociale. Ci possono essere azioni che costruiscono una società più umana e altre che costruiscono una società più individualista.

Su questi meccanismi influisce anche il nostro modello economico, o meglio - ricordando Giovanni Paolo II - la sua degenerazione consumistica. Il consumismo, il percepirci come consumatori, fa sì che si debbano creare sempre nuovi bisogni (o meglio: desideri): dopo aver comprato una macchina, dovremo sentire il desiderio di una macchina più grande o potente. Dopo aver comprato un telefono, dovremo creare il desiderio del modello nuovo. Una sorta di degenerazione del motto sessantottino "Siate realisti, chiedete l'impossibile".
Questo spostare continuamente l'asticella verso l'alto ha qualcosa a che fare con il discorso che il professor Nicoli faceva riguardo ai sogni dei ragazzi: mettere l'asticella troppo in alto ("Fai quello che vuoi! Puoi diventare ciò che sogni!") rischia di generare grosse delusioni quando la realtà ci richiama all'ordine: non tutti possono diventare calciatori famosi. Allora emergono l'invidia, la frustrazione, magari la rabbia. Così nelle relazioni: se l'aspettativa è di trovare il principe azzurro (e in questo qualche mitizzazione dell'amore da parte della Chiesa la intravedo), qualsiasi relazione con qualche difetto non sarà abbastanza, sarà deludente, e finirà. Così in politica: attraverso meccanismi in parte diversi (cioè la giusta reazione al degrado della moralità della stessa) si è arrivati alla stessa conclusione, la pretesa di "purezza" e a una rabbia sorda, ostile.
Trovare un equilibrio tra realismo, pragmaticità e speranza e afflato ideale è la sfida dei cristiani: siamo nel mondo, ma non del mondo. In politica è ancora più difficile.

Tornando all'effetto pubblico delle nostre azioni e delle nostre scelte, trovo che a volte anche noi cristiani non vediamo la connessione profonda che i nostri Papi ci ricordano. A volte vediamo gli argomenti come separati: che importa della morale, stiamo parlando d'altro (di politica, per esempio). Stiamo parlando di valori non negoziabili, non c'entra l'ecologia. Parliamo di aborto, non di poveri. Tutti i Papi recenti, dall' ecologia umana di Giovanni Paolo II, a Caritas in veritate di Benedetto XVI, a papa Francesco fin nell'ultima esortazione Gaudete et exsultate (ai punti 101 e 102), hanno ribadito che questo è un errore. Ogni degradazione della cultura umana porta danno a tutto l'uomo, che non è settoriale.
Allo stesso modo anche in politica il risultato non è disgiunto dalla modalità con cui lo si persegue, né dall'esempio che porta il politico come persona.

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