venerdì 3 novembre 2017

Diario della Settimana Sociale (2)

Prosegue da qui.


Il secondo giorno è stato il momento delle due novità più significative di questa Settimana. La mattina abbiamo svolto i lavori di gruppo. Pare che sia una novità far partecipare tutti i delegati. Mi dice chi ha partecipato alle precedenti Settimane che prima non si parlava, si ascoltavano solo gli interventi dal palco. Magari numerosi (a Torino nel 2013 si susseguivano interventi ogni tre minuti) ma sempre solo dal palco. Quest’anno si è voluto dare un’impronta più sinodale. Anche il comitato scientifico di preparazione ha lavorato in questo modo, e sembra che sia andata molto bene. Suor Alessandra Smerilli – membro del comitato – ha spiegato che il metodo sinodale si può applicare a tutti i livelli, fino alle nostre Parrocchie, basta non aver paura di lavorare senza avere predeterminato quali saranno le conclusioni.
Nel nostro caso si sono organizzati 100 tavoli da una decina di persone ciascuno, con appartenenze ed età variegate. E’ stato bello vedere ai tavoli, in un confronto alla pari, anche i vescovi. Al mio tavolo ha partecipato mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo. E’ stato proprio lui, mentre la discussione stava su temi generici, a sottolineare con esempi concreti su decisioni che ha dovuto prendere in diocesi che le scelte sul lavoro degno interpellano anche la Chiesa. Ha sottolineato che la Chiesa deve purificare il suo agire, da questo punto di vista: basta lavori in nero, al massimo ribasso purchessia, magari lavori non pagati. Il vescovo ha usato un’espressione che non dimenticherò tanto presto: «purtroppo la Chiesa ha una vocazione all’illegalità. Non so perché, se perché abbiamo sempre pensato che lo spirituale è superiore al temporale, o per che altro motivo». La guida del tavolo ha chiesto di ripetere, credeva di non aver capito... invece mons. Mogavero ha ribadito scandendo bene «vocazione all’illegalità». Per essere testimoni credibili dobbiamo essere trasparenti. E’ una questione di correttezza, la stessa che chiediamo ai politici nel gestire i soldi pubblici, perché anche i soldi della Chiesa sono “pubblici”: sono dei fedeli.
Pensavo che la cosa sarebbe rimasta confinata al tavolo di lavoro, invece nell’intervento di chiusura mons. Santoro (presidente del comitato scientifico) ha affermato che la Chiesa deve farsi carico di mettere in pratica lei per prima le cose che chiede al mondo del lavoro. Non so se in questo passaggio entra quanto emerso nel nostro tavolo, così come non so quanto i contributi dei tavoli siano entrati nelle conclusioni dei lavori (anche perché è difficile rielaborare in poche ore cento tavoli e mille teste, individuare qualche spunto comune e trovare anche il modo di inserirlo in bozze di conclusioni certamente già predisposte). Se non altro è stata una bella esperienza di condivisione per noi delegati.
Il pomeriggio, mentre i responsabili cercavano di far quadrare il cerchio dei lavori di gruppo, siamo stati accompagnati a visitare alcune delle “buone pratiche” del lavoro che una apposita commissione aveva individuato nei dintorni di Cagliari. La ricerca di buone pratiche è stata la seconda novità messa in campo da questa Settimana Sociale: nello scorso anno dei “cercatori di lavOro” si sono mossi in tutta Italia per cercare esempi di pratiche di lavoro che avesse le caratteristiche indicate dall’Evangelii gaudium, cioè libero, creativo, partecipativo e solidale; in una parola: degno, e che fossero pratiche economicamente sostenibili (niente assistenzialismo) e riproducibili. Ne sono emerse 402. Dalla (supersonica) descrizione che ne è stata fatta in assemblea da Leonardo Becchetti mi pare d’aver capito che si tratta soprattutto di piccole imprese, in vari campi, dalla cultura all’enogastronomia all’innovazione. Su otto di queste pratiche – in questo caso otto aziende medio-grandi – si è realizzato un documentario molto interessante, disponibile in rete. Mi ha colpito in particolare l’affermazione di una dirigente di una grande azienda farmaceutica, che parlava dei suoi bravi dipendenti: «devi meritarteli, dei dipendenti così». Se vuoi dei dipendenti appassionati, positivi, formati, che lavorano bene, devi metterli in condizione di farlo.

(continua)
 

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