domenica 17 novembre 2013

La guerra, il IV novembre, l'Italia, l'Europa

Qualche giorno fa (ok, due settimane fa: sono indietro con il "lavoro") abbiamo commemorato il IV novembre, festa delle Forze Armate e anniversario della vittoria.
Abbiamo commemorato una guerra. Man mano che passano gli anni, le guerre ci sembrano sempre più lontane, e la retorica militare è passata di moda. Ormai nel mondo evoluto hanno messo radici la pace e il pacifismo, a volte addiritura per moda, a volte un pacifismo acritico, "senza se e senza ma". E' sempre più difficile rapportarsi con la guerra e gli argomenti militari: le "missioni di pace",  sono di difficile giustificazione, il termine stesso appare talvolta ammantato di ipocrisia; ma quando ci sono dei caduti, questi diventano degli eroi, "i nostri ragazzi", e si sfodera la retorica delle bare nella bandiera, degli omaggi militari eccetera.
Facciamo fatica ad avere un rapporto equilibrato con la guerra. E ben venga che sia così: questo è segno di un accresciuto spirito critico e di una sana abitudine alla pace. Forse non sarebbe neppure possibile avere un rapporto equilibrato con una situazione così estrema, che per di più quasi nessuno di noi ha toccato con mano (per fortuna).

Le guerre possono servire a qualcosa? Possono esserci guerre utili, o necessarie? A questo proposito ho trovato interessante, mesi fa, questa intervista al filosofo americano Michael Novak. Il passaggio cruciale è questo:
In America la schiavitù fu eliminata grazie alla Guerra Civile. Fu un dramma di proporzioni enormi, ma è difficile immaginare una via alternativa per raggiungere lo stesso risultato. Poi abbiamo sconfitto il nazismo con la forza, e non credo che ci fossero altre strade. Infine abbiamo piegato l’Unione Sovietica grazie alla Guerra Fredda, che in molti casi è stata calda, e comunque ha rappresentato un successo ottenuto soprattutto dal fatto che abbiamo prevalso nella sfida tra i due apparati militari. Per noi americani, in sostanza, non è vero che la guerra non ha mai risolto nulla.

La visione è un po' estrema: tutti sappiamo che dietro alle guerre non ci sono visioni solo ideali. La guerra di Secessione non fu combattuta solo per la questione della schiavitù.
Però è difficile negare che senza l'intervento militare Hitler avrebbe potuto fare molti più danni di quanti ne abbia fatti*.

In Italia, lo spunto di riflessione è dato proprio dalla Grande Guerra. Ricordo di aver visitato il museo ad essa dedicato a Gorizia. C'era esposto un volantino austriaco del 1917 (prima di Caporetto), che rappresentava tre mappe: i confini del 1915, le concessioni diplomatiche a cui l'Austria si era detta disposta in cambio della neutralità italiana e il fronte nel 1917: si evidenziava che in due anni di guerra il confine era rimasto pressoché immutato, e peggiore rispetto alle condizioni diplomatiche proposte, e si invitavano i soldati italiani a disertare e abbandonare l'inutile strage. Si noti che nelle possibili concessioni diplomatiche non rientrava Trieste, né l'Alto Adige**.

Come è andata a finire lo sappiamo: l'Italia vinse la guerra sul Piave, e l'unità nazionale venne completata. Per via diplomatica non si sarebbe mai potuto ottenere lo stesso risultato, ovvero l'annessione del Sudtirolo fino alla Vetta d'Italia e della Venezia Giulia intera. Si può discutere se ne valesse la pena, ma non mi sento di dire che la guerra sia stata inutile.

E allora? Allora arriviamo all'Europa: l'unico mezzo per rendere inutile la guerra è la pace, la pace vera, che come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica non è solo l'assenza di guerra. La pace vera è quella che abbiamo oggi in Europa, in cui centinaia di milioni di persone stanno (relativamente) bene, hanno la possibilità di vivere, di spostarsi, di realizzarsi secondo la loro identità, la loro cultura, la loro inclinazione.

Una grossa mano a ciò l'ha data prima la Comunità Europea, ora l'Unione Europea. Oggi non ci sogneremmo mai di fare la guerra alla Slovenia per riprenderci il Carso, oggi i confini non esistono più, in piazza Transalpina a Gorizia si può passeggiare tra uno Stato e l'altro, le minoranze linguistiche sono riconosciute e tutelate in tutta Europa, all'Europeo di basket in Slovenia si poteva vedere la comunità italiana di Capodistria festeggiare la Nazionale azzurra che giocava come se fosse stata in casa. Tutte cose che 25 anni fa erano un'utopia.

Ricordiamocene quando parliamo male dell'Europa.

* Si noti che l'intervento americano nella II guerra mondiale non rientra nemmeno nei criteri che rendono ammissibile la guerra per il Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. il paragrafo 2309): l'intervento in Europa non rientrava nella legittima difesa, e sia in Europa che nel Pacifico era discutibile il criterio per cui "il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare". Infatti non c'erano verosimili possibilità di attacco giapponese all'America continentale, mentre l'Europa prima del D-Day era in pace dall'Atlantico alla Polonia, seppure sotto il tallone di Hitler. Siamo sicuri che una dittatura avrebbe causato più morti o più mali dei milioni di militari morti nella guerra? Ciò nonostante io sono ben felice che gli Alleati siano sbarcati in Sicilia e in Normandia.

** Poi sull'effettiva volontà di queste terre di entrare in Italia ci sarebbe molto da discutere, al netto della propaganda nazionalista che dipingeva i triestini come anelanti all'unificazione.

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