sabato 9 novembre 2013

Contro il Parlamento delle larghe intese

Riflettevo sul senso di inutilità che pervade la situazione politica italiana. Sembra che le cose si perpetuino sempre, che ogni sforzo sia vano, che siamo imprigionati in una nave che affonda. Sembra che alle parole dell'emergenza non riescano mai a seguire i fatti.
Anche la reazione è disillusa. L'italiano medio ascolta i proclami, prende atto delle misure che lo riguardano, cerca di adattarsi come meglio può, tirando la cinghia ancora un po', cercando di evadere qualche balzello in più. Nessuna speranza che la nave muti direzione. Nessun sussulto. Mi pare che ci sia la diffusa convinzione che fra cinque, dieci anni saremo qui a barcamenarci come ora.

Non voglio indagare qui a fondo il perché e il percome. Ci sarebbero mille cose da dire: l'indole nazionale, i politici inetti, il diffuso rifiuto della politica, l'immobilismo degli apparati burocratici ministeriali (che tagliano le gambe alle migliori riforme annegandole in codici, codicilli, decreti attuativi arzigogolati, eccetera).

Mi riaggancio però a qualche notizia dei giorni scorsi: il no porcellum day, le difficoltà sulla abolizione delle province, le lentezze sulla riforma del finanziamento pubblico dei partiti. Tre questioni al centro del dibattito da molto tempo, provvedimenti spesso invocati, anche popolari, soprattutto tre questioni su cui Letta ha preso degli impegni chiari nelle sue linee programmatiche (quelle su cui il Parlamento gli ha votato la fiducia, sia ad aprile che il mese scorso).

Il problema è che queste questioni ora sono in mano al Parlamento, lo stesso che ha votato la fiducia (amche) su queste questioni. E' il Parlamento a rallentare, soppesare, discutere, tergiversare. Un po' come accadeva con il governo Monti, che già aveva tentato la via del decreto sulle province. Ma in Italia il potere dell'esecutivo è relativo: anche i decreti vanno convertiti in legge dall'Aula, e ogni spinta al cambiamento può essere tarpata, cloroformizzata, resa innocua in un calendario dei lavori scelto con logiche politiche, attento ad altre priorità, meno intenso di quello del Governo (fateci caso: i ministri spesso lavorano anche di sabato, il Parlamento apre il lunedì pomeriggio, vota se non il martedì, e chiude di norma con il pranzo del venerdì).

Durante il governo Monti tendevo a pensare che la colpa fosse di "quel" Parlamento, brutto, sporco e cattivo: ormai delegittimato con il suo dominus Berlusconi.
Oggi vedo che non era così.

E allora mi chiedo se le larghe intese non abbiano qualcosa a che fare con il continuo immobilismo parlamentare. A livello di governo il fatto di dover arrivare a delle decisioni entro certe scadenze (legge di stabilità) e di lavorare gomito a gomito possono aiutare a trovare compromessi, nella consapevolezza della propria responsabilità. Mi sembra invece che in parlamento le larghe intese esasperino una serie di tentazioni negative.

In Parlamento non si hanno urgenze di tempo, se non in pochi casi specifici. In Parlamento non si lavora insieme agli alleati, ma si vive di più la contrapposizione: si sta in gruppi separati, si deve marcare la propria identità "annacquata" al governo. In Parlamento si sa che il parafulmine primo è il governo: se le cose non si fanno l'opinione pubblica (me compreso) se la prende con Letta, non con l'onorevole Tizio. Il Parlamento di solito lavora sui provvedimenti temporalmente dopo il governo, considerando la progressiva estinzione delle leggi di iniziativa parlamentare. Ciò significa che lavora dopo che gli elettorati di riferimento dei partiti hanno già espresso le loro rimostranze nei confronti di tutti i compromessi trovati dall'esecutivo a cui il proprio partito si è dovuto piegare. Si sa, per "la base" il compromesso è sempre al ribasso, le concessioni sono sempre troppe... ecco quindi che in Parlamento i partiti ricominciano a tirare la corda dalla propria parte.

Io non so se in Germania l'esecutivo sia più forte, o sia il Bundestag ad essere più maturo del nostro. Alla fine mi pare che, se le larghe intese possono funzionare in qualche modo se c'è da mettere d'accordo cinque o sei ministri, queste abbiano un effetto deleterio sul Parlamento.

Allora per avere un'azione di governo efficace è necessario avere un Parlamento schierato compattamente dalla stessa parte del Governo. E qui torniamo a bomba alla legge elettorale, simbolo di questa cancrena: ne è causa ed effetto, ha creato (quantomeno favorito) questa situazione, nessuno - a parole - la vuole, l'assenza di una maggioranza univoca rende ancora più difficile cambiarla, le proposte di cambiamento rischiano di perpetuare l'ingovernabilità.

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