mercoledì 19 settembre 2012

In difesa dei test

Leggo da più parti lamentele riguardo le modalità di selezione a diverse carriere dell'ambito pubblico: i test di ingresso per le università, il TFA per gli insegnanti eccetera.

In particolare, mi è capitato sott'occhio questo articolo sulla modalità di accesso ai concorsi per professori universitari. La modalità proposta dalla riforma Gelmini consta di concorsi locali (autonomia delle Università: bene) ma solo tra un elenco di idonei, dichiarati tali da un organismo nazionale (argine al "familismo" dei baroni e alle raccomandazioni locali: bene).

L'estensore lamenta che il criterio per l'idoneità è basato sul numero degli articoli pubblicati (semplifico), e sostiene che invece in altri Paesi si fanno colloqui, si conosce il candidato, si valuta il currculum eccetera.

Io credo che l'Italia abbia un disperato bisogno di criteri di valutazione oggettivi, basati su dati misurabili, e il meno discrezionali possibile per l'accesso a posizioni ambite, quali un posto a Medicina o più ancora un posto da docente ordinario.
Certo i test hanno un sacco di deficienze, conta troppo la fortuna, sono spersonalizzati eccetera. Ma sempre meglio di ogni criterio discrezionale ("valutazione" di una commissione, "colloquio") soggetto a simpatie e favoritismi. E non ci vuole molto ad accorgersene, è sufficiente osservare come è andata finora in Italia, proprio nell'ambito trattato dall'articolo: concorsi decisi in base ai "colloqui" con le commissioni interne alle Università, con valutazioni dei titoli accademici scritte ad hoc per i singoli candidati "pupilli" dei baroni.

Certo, i criteri oggettivi vanno scelti il meglio possibile: i test devono avere domande intelligenti, mentre nel caso in questione gli articoli non possono essere valutati per il numero puro ma anche per il "peso" delle riviste su cui vengono pubblicati, o meglio ancora per il numero di ri-citazioni che riescono a suscitare (misura dell'influenza dell'articolo stesso sulla comunità scentifica).
Ci sarebbe ancora spazio per gli inganni (si pensi alle firme multiple su un articolo, spesso di chi non sa nemmeno di cosa parli la stessa pubblicazione), ma molto di meno.

In ogni caso, meglio un cattivo criterio numerico che qualsiasi meccanismo discrezionale.

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