martedì 3 luglio 2012

Le vite degli altri

Qualche giorno fa mi è capitato di rientrare a casa a vedere la fine del film Le vite degli altri su Rai Movie. Bel film, che avevo già visto e che descrive il controllo della Stasi sulle vite dei cittadini della Germania Est.

C'è sempre la stessa domanda che mi torna come un tarlo (lo so, sono monotono): com'è possibile?

Com'è possibile che ci fosse un sistema così capillare, diffuso, organizzato, strutturato, senza che nessuno ne vedesse l'assurdità? Una evidente degenerazione di un servizio di intelligence, non tanto nel senso della trasgressione dei diritti civili (siamo pur sempre in Germania Est, dittatura comunista, non è che ci si possa stupire più di tanto), quanto nella dimensione del fenomeno. Un controllo elefantiaco, smisurato, su persone che sono tutto fuorché dei pericoli pubblici. Il tutto condito da un sistema di burocrazia enorme, a suo modo funzionante (sono pur sempre tedeschi) ma anch'esso elefantiaco. E per un motivo assurdo, per difendere l'ideologia (ma da che cosa?).

Posso capire che ai piani alti ci fossero i "grandi vecchi", cresciuti prima della guerra a pane e sol dell'avvenire, veramente convinti dell'importanza del comunismo. Magari poi vederne il fallimento lungo i decenni fa male, e ci si tappa più o meno consapevolmente gli occhi.
Posso anche capire che ci fossero i gradi bassi dell'organizzazione, teutonicamente usi ad obbedire senza porsi troppe domande, per cui tutto sommato compilare un rapporto su una persona non era nulla di che, non avendo sott'occhio il quadro generale, l'estensione di tutto.
Ma possibile che tra i dirigenti, i quadri non ci sia stato nessuno che si sia posto delle domande sull'assurdità, sull'inutilità di quello che stavano facendo? Come se vivessero tutti nella finzione, nella autoconvinzione, recitando. Una recita in cui si indossa la maschera dei protettori del popolo, del proletariato.
Non sto chiedendo che qualcuno si lanci al martirio come un Walesa, ma possibile che non sia nato un Gorbacev, un Dubcek?

L'ideologia, la politica, possono rendere così ciechi? O è la mancanza di coraggio che rende ciechi come le tre scimmiette? Al punto da perpetrare la commedia di un'ideologia ormai crollata dall'interno, di cui rimangono solamente le strutture? O ancora è l'abitudine? Eh sì, la domanda è sempre la stessa: fino a che punto ci si può abituare al male?

Un'altra domanda è se una cosa così possa succedere anche con la religione, come nella Leggenda del grande inquisitore: bisogna stare molto attenti mantenere vivo il cuore della religione, e non ritrovarci con la sola struttura, perché purtroppo la storia ci ha insegnato che anche il fondamentalismo religioso è un'ideologia che può far perdere il contatto con la realtà e con la giustizia. Mi verrebbe da dire: con la legge naturale. Nel caso del cristianesimo però c'è il vantaggio che la legge naturale è proposta, non negata, perciò quando qualcuno esagera va contro la stessa religione che professa.

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