Trovo qualche momento per buttare giù qualche impressione sui referendum prossimi venturi. Lo faccio partendo da questo articolo.
Sul primo quesito, sulla disciplina di licenziamenti e reintegri, mi
par di capire che la scansione è stata: una volta c’era l’articolo 18
per tutti i dipendenti di aziende sopra i 15 dipendenti, poi si sono
introdotte varie leggi, tra cui Fornero, Jobs Act e sentenze della
Consulta, che hanno creato una situazione più frammentata. Il referendum
ripristinerebbe l’obbligo di reintegro (l’azienda non se la cava
“semplicemente” pagando) per una parte di queste casistiche, i
licenziamenti collettivi (quindi non si tornerebbe al vecchio articolo
18), passando da un giudice che deve valutare se siano stati effettuati
per motivi giudicati illegittimi.
Sul secondo quesito, riguardante l’importo degli indennizzi per
licenziamenti nelle piccole imprese, si vuole abrogare il limite di sei
mensilità (aumentabili fino a 14 in alcuni casi) consentendo al giudice
di decidere caso per caso.
Sul terzo quesito, riguardante i contratti a termine, si vuole
ripristinare l’obbligo di esplicitare la causale. Principio secondo me
sacrosanto, ma che probabilmente verrà aggirato con causali generiche
tipo “picco di lavoro” per cambiare poco o nulla a livello pratico, con
solo qualche scartoffia in più. Si potrà forse dimostrare
l’inconsistenza di queste motivazioni fittizie passando da un giudice.
Questi primi tre quesiti mi sembrano tutti sulla stessa falsariga:
il principio che si vuole perseguire è corretto. Le imprese magari
lamenteranno gli oneri, i lacci e lacciuoli e così via, ma è anche vero
che numeri alla mano la libertà e flessibilità introdotta dal Jobs Act
non ha portato a chissà quale aumento di contratti e vivacità di lavoro.
Nel perseguire questo principio, però, i referendum sono formulati in
modo tale che l’effetto sia limitato e interessi pochi casi. Tra l’altro
tutte le possibilità che verrebbero introdotte con la nuova disciplina
richiederebbero l’intervento del giudice, che se in astratto è opportuno
– è giusto che un giudice valuti ogni caso a sé stante prendendo
decisioni specifiche – in pratica vuol dire imbarcarsi nei tempi biblici
della giustizia, soprattutto civile, e nei relativi costi. Quanti
lavoratori hanno la voglia o la possibilità di impegnarsi in anni di
contenzioso, invece di accettare comunque un indennizzo? Alla fine
cambierebbe probabilmente poco, con in più un effettivo aggravio di
burocrazia e carico giudiziario, senza contare (secondo quesito) che
avere un quadro più certo e meno aleatorio potrebbe essere gradito non
solo alle imprese ma anche ai lavoratori. Ciò non toglie, tornando a
bomba, che io sia d’accordo coi principi verso cui tendono tutti e tre i
referendum.
Sul quarto quesito, sulla responsabilità tra appalti e subappalti,
la questione è complessa. Se non ho capito male, già oggi il committente
e la ditta appaltatrice sono corresponsabili con le imprese
subappaltatrici in caso di infortuni ai dipendenti di queste ultime, ma
con una eccezione: ciò non si applica quando l’attività
dell’appaltatrice sia totalmente estranea a quella del committente, che
quindi non ha competenza in quel campo, che è specifico
dell’appaltatrice. Detta così, sembra che – a differenza degli altri
casi – l’attuale disciplina segua un principio corretto. E però i casi
in cui il committente finisce per lavarsene le mani della sicurezza dei
subappalti possono essere molti, troppi, stante la abitudine di creare
società ad hoc per certi bandi, magari con motivazioni finanziarie (vari
soci che investono il loro capitale in una impresa costituita per
l’occasione) o, anche senza arrivare alle imprese ad hoc, vista comunque
l’ampia diffusione dei subappalti e delle esternalizzazioni. Il
risultato è che capita che delle imprese prendano appalti per lavori su
cui hanno poca o nulla competenza specifica, che quindi viene delegata
ampiamente, delegando anche la responsabilità. Si consideri poi che il
criterio sugli appalti è solitamente il massimo ribasso, perciò la
pressione sulla sicurezza è alta. La soluzione ai problemi di sicurezza
allora qual è? In teoria dovrebbero essere più controlli e più
ispettori. Il referendum vuole – si può dire in due modi: più
responsabilità/corresponsabilità ai massimi livelli, che suona
bene, oppure: più sanzioni anche ai massimi livelli, che invece può
essere letto come un approccio punitivo che abbiamo visto anche a destra
su tanti altri ambiti. Quanto al massimo ribasso, il problema c’è
sempre stato e sempre ci sarà, non è oggetto del referendum ma mi pare
anche che non si sia mai trovato un metodo funzionale per superare
questo metodo e le sue controindicazioni.
Grande è la confusione sotto il cielo, tanto che sulla cittadinanza tornerò un’altra volta…