Due parole sul "reddito di cittadinanza".
Strumento imperfetto, e con tanti difetti, forse lo ho già scritto. Si è mischiata la parte di assistenza a una velleitaria idea di politiche del lavoro.
Lavoro che c'è, spesso si sente dire. Alcune aziende non trovano lavoratori, alcuni cittadini non trovano lavoro: facciamo incontrare le due cose.
Ma ci sono differenze di profili, e questo non è facile da risolvere: ci vuole formazione, ma non per tutti è possibile.
Ci sono inoltre differenze territoriali: il lavoro è al nord, i disoccupati sono al sud. Per questo aspetto la soluzione sembra più semplice: ci sono tanti meridionali che si trasferiscono al nord.
E però. Spesso chi dice così legge la situazione con le lenti di gente
che ha gli strumenti anche culturali per farcela, e che in genere ce
l’ha fatta, anche emigrando.
Ma non tutti hanno la possibilità di emigrare, o gli strumenti culturali.
E anche se li avessero, la soluzione “emigrazione” funziona per percentuali limitate della popolazione, sia delle zone di emigrazione che di immigrazione*.
Bisogna
fare pace con il fatto che c’è una certa quota di persone, seppure non
impedite (=disabili) in senso stretto, che il lavoro non lo trovano, o
solo saltuariamente.
Gli strumenti per costoro servono.
D’altra parte è necessario che questi strumenti siano sostenibili, e – anche in questo caso – lo sono solo se rappresentano l’eccezione e non la regola. Equilibrio molto difficile da trovare.
E’ un bel busillis.
* In cauda venenum: spesso chi è contrario al reddito di cittadinanza, e dice che molti disoccupati dovrebbero trasferirsi - diventando quindi dei migranti economici - sono gli stessi che si oppongono alle migrazioni economiche di altro tipo...
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