Non
condivido tutto, anzi mi pare che in varie parti pecchi di un certo
ideologismo manicheo che semplifica un po' l'analisi. E' vero che spesso
negli ultimi anni la sinistra si è "vergognata" di presentarsi come
sinistra, ma è stato anche perché costretta da una serie di vincoli al
bilancio, alla responsabilità, alla "realtà", verrebbe da dire. Non so
se un ritorno ad alzare il tiro non sia pericolosamente confinante con
il populismo.
Ma senz'altro c'è del vero in quel che scrive
l'autore. La questione delle paure, cavalcate e non incanalate, è una
cosa che si dice e si osserva spesso.
La cosa
che ho trovato più interessante è che l'autore tratteggia una
motivazione per un fatto che si osserva in tutta Europa: la destra ha
problemi con i "quadri intermedi" della politica, con il personale di
governo.
L'autore attribuisce questo fatto al leaderismo
insito nella destra, che esprime una politica per cui non serve
"impegnarsi" dialetticamente, basta "credere" nel capo: le destre
chiedono fede, adesione cieca, eventualmente azione immediata e
violenta, non processi di “formazione” della soggettività, e infatti non
hanno mai “quadri” sufficienti, in quanto si costruiscono in modo
estremamente verticistico. Fino a qui elementi di analisi che ci sono
ormai familiari, e che si attagliano perfettamente all’RN francese, ma
anche all’insieme delle estreme destre occidentali (passando per Salvini
e Meloni)
Io
avevo sempre riflettuto sul fatto che - almeno in Italia - a livello
comunale la sinistra è più forte, e questo fa da palestra civica per
amministratori. Ma è una spiegazione parziale, che non spiega in realtà
abbastanza, per almeno due motivi: perché forse confonde la causa con
l'effetto (forse la sinistra ha più successo a livello locale perché sa
esprimere classi dirigenti migliori, non viceversa) e perché essere
sindaci o amministratori locali non vuol dire fare carriera fino ai
livelli superiori della politica; anzi mi pare che questo avvenga via
via più raramente. Anche tra i sindaci delle grandi città (Pisapia,
Sala, tutti quelli lombardi che mi vengono in mente) non c'è un cursus
honorum che porti in Regione o in Parlamento. Eccezione fu Renzi, ma una
rondine non fa primavera.
L'autore introduce una differenza
"antropologica" tra destra e sinistra in tema di classe dirigente, che
mi ha fatto pensare e che io interpreto così: la destra, rispetto alla
sinistra, esprime più istanze di autonomia dell'individuo dalla
politica. Che siano istanze filosofiche (la libertà personale, la
sussidiarietà, lo "stato minimo"), economiche ("meno Stato più mercato") o
egoistiche ("basta regole e regolette") fino all'illegale (voglio poter
evadere tranquillamente), se chiedo meno Stato e più individuo sono
meno portato a impegnarmi nello Stato stesso, nella politica.
La
sinistra invece crede nella politica come mezzo per plasmare la società,
e questo richiede un impegno in prima persona, sia dialettico (per
discutere su quale sia la direzione che si vuole imprimere) sia pratico
(impegnarsi per far andare le cose nella direzione "giusta", cioè quella
che dico io, è una cosa che può gratificare).
Si dirà: ma la sinistra si è fatta paladina di molti diritti individuali, negli ultimi decenni.
E'
vero, ma se ci pensiamo questi diritti sono spesso elementi che
richiedono la presenza dello Stato. Si richiedono riconoscimenti
pubblici e pubblico intervento.
L'aborto non è solo una
depenalizzazione di chi autonomamente trova modo di praticarlo, richiede
che lo Stato si attrezzi con strutture per fornire il servizio.
Il
fatto che gli omosessuali vivano insieme e pratichino la loro
sessualità liberamente è garantito da decenni, quello che si vuole è un
riconoscimento pubblico delle unioni: non si richiede la libertà di amar
chi si vuole, si richiede che lo Stato agisca per formalizzare queste
relazioni e metta in piedi una struttura per celebrarle in modo legale e
registrarle.
Anche questio diritti individuali, quindi,
richiedono uno Stato che fa le cose "giuste". In questo senso sono di
"sinistra", pur essendo espressione di istanze individuali che hanno
anche una componente individualistica, letta nella libertà di fare
quello che si vuole.
Potrei abbozzare che l'individualismo "di
destra" è libertà di fare senza che lo Stato si impicci,
l'individualismo "di sinistra" è chiedere che lo Stato riconosca che
quello che voglio fare io è giusto e riconosciuto.