Riprendo un ragionamento che ho fatto nel post di qualche giorno fa.
Negli anni scorsi le piazze si sono riempite di giovani che manifestavano per il clima.
Le piazze piene di giovani sono una cosa che ciclicamente torna. Abbiamo in mente quelle del 1968, del 1977, dei movimenti studenteschi. Le piazze per la pace ai tempi delle guerre in Serbia e Iraq.
Quelle piazze rivendicavano sempre qualcosa per sé. Più diritti per i lavoratori e gli studenti, più libertà, autodeterminazione sul proprio corpo (dall'aborto ai gay pride). Al limite qualcosa per tutti, ma vissuto anche come un vantaggio per sé: la pace, il no alle spese militari.
Le piazze per il clima chiedono ai governi di prendere misure forti e impattanti.
Queste andranno a discapito anche di chi manifesta, in termini di impatto economico: i manifestanti chiedono che la benzina costi di più, che ci siano più investimenti per le rinnovabili (e quindi soldi sottratti ad altri capitoli), che l'estrazione dei materiali rari con cui si fabbricano i nostri telefonini sia più regolamentata, che le industrie diventino più ecologiche (con costi che poi si riversernno sui consumatori), e via dicendo.
Forse chi manifesta godrà di benefici a lungo termine, o più probabilmente, visti i "tempi di reazione" del sistema Terra, ne godranno i loro figli o nipoti.
Ciò nonostante, costoro manifestano.
Nonostante i disagi immediati e il vantaggio probabilmente non per loro.
Non so quanto consapevolmente, ma almeno un po' spero di sì.
Mi sembra un buon segno: non chiedo qualcosa per me, anzi chiedo qualcosa contro di me ma per qualcun altro.
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