Lo riporto anche sotto, perché non si perda nell'invecchiare del link.
Noi tutti qui presenti ci rendiamo conto che non è possibile
lo sviluppo tecnologico senza un parallelo avanzamento della scienza pura. La
scienza pura non solo fornisce alla scienza applicata le conoscenze necessarie
per potersi sviluppare (linguaggi, metafore, quadri concettuali), ma ha anche
un altro ruolo più nascosto e non meno importante. Infatti, le attività
scientifiche di base funzionano anche come un gigantesco circuito di collaudo
di prodotti tecnologici e di stimolo al consumo di beni ad alta tecnologia
avanzata.
Questa profonda integrazione tra scienza e tecnica potrebbe
far pensare che la scienza abbia un futuro radioso in una società che diventa
sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata (i diffusissimi cellulari di
adesso arrivano a una capacità di calcolo di centinaia di miliardi di
operazioni aritmetiche al secondo, più o meno come i mastodontici
super-computer di venticinque anni fa).
In realtà oggi sembra vero tutto il contrario: ci sono forti
tendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio della Scienza e
la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente, le pratiche astrologiche,
omeopatiche e antiscientifiche (vedi per esempio NoVax o il negazionismo della
Xylella come origine della malattia degli ulivi pugliesi) si diffondono
largamente insieme a un vorace consumismo tecnologico. Addirittura una
prestigiosa università italiana è arrivata ad ospitare un corso sulla
agricoltura biodinamica.
Non è facile capire fino in fondo quale sia l'origine di
questo fenomeno; è possibile che questa sfiducia di massa nella scienza sia
dovuta anche ad una certa arroganza degli scienziati che presentano la scienza
come sapienza assoluta, rispetto agli altri saperi opinabili, anche nei casi in
cui non lo è affatto. A volte l'arroganza consiste non nel cercare di far
arrivare al pubblico le prove di cui si dispone, ma di chiedere un assenso incondizionato
basato sulla fiducia negli esperti.
Proprio il rifiuto di non accettare i propri limiti può
indebolire il prestigio degli scienziati, che a volte sbandierano un'eccessiva
sicurezza, che non è fondata, davanti a un’opinione pubblica che in qualche
modo ne avverte la parzialità di vedute e i limiti. A volte i cattivi
divulgatori presentano i risultati della scienza quasi come una superiore
stregoneria le cui motivazioni sono comprensibili solo agli iniziati. In questo
modo chi non è scienziato può essere spinto in una posizione irrazionale di
fronte a una scienza percepita come magia inaccessibile e quindi a preferire
altre speranze irrazionali: se la scienza diventa una pseudomagia, perché non
scegliere la magia vera piuttosto che un suo surrogato?
La scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti
pratici, ma anche per il suo valore culturale. Dovremmo avere il coraggio di
prendere esempio da Robert Wilson che, nel 1969, di fronte ad un senatore
americano che insistentemente chiedeva quali fossero le applicazioni della
costruzione dell'acceleratore al Fermilab, vicino Chicago, e in particolare, se
fosse utile militarmente per difendere il paese, gli rispose "il suo
valore sta nell'amore per la cultura: è come la pittura, la scultura, la poesia,
come tutte quelle attività di cui gli americani sono patriotticamente fieri;
non serve per difendere il nostro paese, ma fa che valga la pena difendere il
nostro paese."
Per affermare la scienza come cultura, bisogna rendere la
popolazione (almeno quella colta) consapevole di cosa è la scienza, di come la
scienza e la cultura si intreccino l'una con l'altra, sia nel loro sviluppo
storico sia nella pratica dei nostri giorni. Bisogna spiegare in maniera non
magica cosa fanno gli scienziati viventi, quali sono le sfide dei nostri
giorni. Non è facile, specialmente per le scienze dure dove la matematica gioca
un ruolo essenziale. Tuttavia con un certo sforzo si possono ottenere ottimi
risultati. Bisogna anche abbattere, per quanto sia possibile, la separazione
che c'è spesso tra gli studi umanistici e le altre discipline scientifiche. La
nostra Accademia, che si divide equamente in una classe di Scienze Morali,
Storiche e Filologiche e in una Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e
Naturali, è uno dei luoghi più adatti per colmare questa separazione.
Spesso si dice che le scienze dure non sono comprensibili a
chi non ha studiato la matematica. Ma lo stesso problema c'è anche con la
poesia cinese, che è un miscuglio inseparabile di letteratura e di pittura: il
manoscritto originale della poesia è un quadro dove i singoli ideogrammi cinesi
sono gli elementi pittorici che vengono rappresentati ogni volta in maniera
differente. Questa dimensione pittorica si perde completamente nella traduzione
e la sua bellezza non è apprezzabile da chi non conosce bene il cinese. Come è
possibile far apprezzare in italiano la bellezza delle poesie cinesi, così è
possibile far comprendere anche la bellezza delle scienze dure a chi non
conosce la matematica e non ha fatto studi scientifici.
Ma forse le difficoltà attuali hanno origini più profonde
che devono essere comprese a fondo allo scopo di poterle contrastare. Stiamo
entrando in un periodo di pessimismo sul futuro che ha la sua origine da crisi
di varia natura: crisi economica, riscaldamento globale, esaurimento delle
risorse, inquinamento. In molti paesi si aggiungono l'aumento delle
diseguaglianze, il precariato, la disoccupazione, le guerre. Mentre una volta
si pensava che il futuro sarebbe stato necessariamente meglio del presente, si
è intaccata la fede nel progresso, nelle magnifiche e progressive sorti
dell'umana gente: molti temono che le future generazioni staranno peggio di
quelle attuali. E come la scienza aveva il merito del progresso, così adesso la
scienza riceve il biasimo del declino (reale o solo percepito non importa). La
scienza è a volte sentita come una cattiva maestra che ci ha portato nella
direzione sbagliata e cambiare questa percezione non è facile. C'è una grande
insoddisfazione verso tutti coloro che ci hanno portato in questa situazione e
gli scienziati non sfuggono a questo biasimo.
Non dobbiamo essere sicuri che lo sviluppo della scienza sia
inarrestabile: confidare ciecamente sull'ineluttabilità del bisogno che lo
sviluppo tecnologico ha dello sviluppo scientifico può essere un tragico
errore. I romani hanno conservato la tecnologia greca senza curarsi molto della
scienza greca e i fanatici cristiani, comandati dal vescovo Cirillo di
Alessandria, hanno tranquillamente fatto a pezzi la matematica-astronoma
Ipazia, senza curarsi affatto delle conseguenze a lungo termine, anzi
rallegrandosi della scomparsa di un sapere profano, ritenuto inutile se non
dannoso.
Ma se anche al livello planetario la scienza continuerà a
svilupparsi e a trascinare la tecnologia, non c'è nessuna garanzia che questo
accada anche in un Paese come l'Italia. La deindustrializzazione sistematica
dell'Italia è il filo conduttore della storia italiana dagli anni sessanta in
poi, assieme al sempre più marcato disinteresse della grande industria per la
ricerca. È ben possibile che i nostri governanti decidano che l'industria e la
ricerca italiana debbano avere un posto sempre più secondario e che il Paese
debba lentamente scivolare verso il terzo mondo: in fondo i brevetti si possono
sempre comprare dall'estero e i prodotti ad alta tecnologia si possono
importare.
Se consideriamo anche il lento decadere della scuola
pubblica, il progressivo disinvestimento dell'impegno finanziario del governo
italiano nei Beni culturali (basti dire che il restauro del Colosseo è stato
fatto con fondi privati e che il Fondo Unico per lo Spettacolo diminuisce ogni
anno fino ad arrivare alla metà delle cifre stanziate venti anni fa) ci
rendiamo conto che tutte le attività culturali italiane sono in lento, ma
costante, declino.
Il prestigio (e forse anche lo stipendio) degli insegnanti
nelle scuole di tutti i livelli è calato sempre di più. Una volta nei piccoli
paesi si dedicavano le vie agli insegnanti delle scuole elementari e i
professori di Liceo erano grandemente rispettati. La scuola sta perdendo il
ruolo di ascensore sociale che aveva una volta: le crepe che si aprono sul
soffitto di molte aule scolastiche sono il segnale visivo dell'abbandono in cui
è lasciata la nostra scuola. L'università italiana ha assistito nell'ultima
decina di anni a uno dei più grandi disinvestimenti nell'alta cultura che siano
avvenuti in un paese in tempo di pace, venti per cento in meno di
finanziamenti, venti per cento in meno di insegnanti, venti per cento in meno
di studenti.
Bisogna difendere la cultura italiana su tutti i fronti,
dobbiamo evitare di perdere la nostra capacità di trasmetterla alle nuove
generazioni. Se gli italiani perdono la loro cultura, cosa resta del Paese?
Bisogna che si costituisca un fronte comune di tutti gli operatori culturali
italiani (dagli insegnanti degli asili ai professori universitari, dai
programmatori ai poeti) per poter affrontare e risolvere l'attuale emergenza
culturale.
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