A questo punto è necessario ripartire.
Fa strano dover ripartire da un progetto di un quarto di secolo fa, ma secondo me la strada non può che essere quella. Il collateralismo politico non conduce da nessuna parte, specialmente con una politica povera come quella attuale - cosa su cui la Chiesa non è esente da una certa quota (sia pure minoritaria) di colpa, come ho accennato. E non è un problema di scegliere una parte o un'altra: non va bene in ogni caso. Il lavoro che la Chiesa deve fare è culturale, bisogna scendere nell'agorà pubblica portando i valori cristiani e spiegando che sono valori umani, accettabili anche in maniera laica. Valori ragionevoli per tutti, mi verrebbe da dire.
Per riuscire a fare ciò dobbiamo prima di tutto lavorare su noi stessi, all'interno della Chiesa. Creare cristiani consapevoli, preparati, formati, pronti a «rendere ragione della speranza» che è in noi (1Pt 3,15). Senza nemmeno preoccuparci dei numeri, o del successo. Quello seguirà, se sapremo lavorare su noi stessi. Certo è una prospettiva di lungo periodo, ma questo - come diceva Mauro Magatti alla Settimana Sociale di Cagliari - è il tempo della semina.
Papa Francesco ci indica la strada. Di ritorno dall'ultimo viaggio apostolico in Bangladesh e Birmania, il pontefice ha spiegato (e non è la prima volta) cosa è per lui la nuova evangelizzazione:
Ma questa non è certo una novità di Francesco: l'espressione «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri» è di Paolo VI (Evangelii nuntiandi 41), e l'ammonimento «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21) risale a ben prima.
Grazie. Prima distinzione: evangelizzare non è fare proselitismo. La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione, cioè per testimonianza. Questo lo ha detto Papa Benedetto XVI. Com’è l’evangelizzazione? E’ vivere il Vangelo, è testimoniare come si vive il Vangelo: testimoniare le Beatitudini, testimoniare Matteo 25, testimoniare il Buon Samaritano, testimoniare il perdono settanta volte sette. E in questa testimonianza, lo Spirito Santo lavora e ci sono delle conversioni. Ma noi non siamo molto entusiasti di fare subito le conversioni. Se vengono, aspettano: si parla…, la tradizione vostra…, si fa in modo che una conversione sia la risposta a qualcosa che lo Spirito Santo ha mosso nel mio cuore davanti alla testimonianza del cristiano. Nel pranzo che ho avuto con i giovani nella Giornata della Gioventù a Cracovia – una quindicina di giovani di tutto il mondo – uno mi ha fatto questa domanda: “Cosa devo dire a un compagno di università, un amico, bravo, ma che è ateo? Cosa devo dirgli per cambiarlo, per convertirlo?”. La risposta è stata questa: “L’ultima cosa che tu devi fare è dire qualcosa. Tu vivi il tuo Vangelo, e se lui ti domanda perché fai questo, gli puoi spiegare perché tu lo fai. E lascia che lo Spirito Santo lo attiri”. Questa è la forza e la mitezza dello Spirito Santo nelle conversioni. Non è un convincere mentalmente con apologetiche, ragioni… no. E’ lo Spirito che fa la conversione. Noi siamo testimoni dello Spirito, testimoni del Vangelo. “Testimone” è una parola che in greco si dice “martire”: il martirio di tutti i giorni, il martirio anche del sangue, quando arriva… La sua domanda: cosa è prioritario, la pace o la conversione? Ma, quando si vive con testimonianza e rispetto, si fa la pace. La pace incomincia a rompersi in questo campo quando incomincia il proselitismo, e ci sono tanti tipi di proselitismo, ma questo non è evangelico. Non so se ho risposto.
Bisogna quindi uscire dalla mentalità della "predicazione alle masse", ed entrare in quella della testimonianza operosa. Il modello potrebbe essere san Giuseppe. Sul lavoro, nella società, nella cultura, nella politica, noi cristiani dobbiamo convertire il nostro agire e essere sempre più riconoscibili come parte attiva e feconda della comunità in quanto cristiani.
Siamo in pochi? Non fa nulla: questo non è più il tempo dell'occupazione degli spazi, del piantare bandierine, dell'appartenenza (anche pubblica, anche politica) con l'etichetta "cristiano DOC" in bella vista. Noi dobbiamo avviare processi, non occupare spazi, ci ricorda sempre il Papa. Lavoreremo con chi ci sta su noi stessi per essere sale del mondo e granello di senapa.
Un esempio pratico di tutto il discorso su irrilevanza e testimonianza è apparso proprio in questi giorni sulla Voce del Popolo: i lavoratori dei centri commerciali, costretti a lavorare a Natale, tra le altre cose protestano con la Chiesa per la sua afasia sul tema. Però questo non è vero, come ricorda Enzo Torri nell'articolo: il problema del lavoro festivo è tema che la Chiesa porta avanti da anni. Il fatto che gli stessi lavoratori non lo sappiano indica quanta poca visibilità abbiamo su questi temi. Evidentemente il tema del lavoro festivo fa parte di quelli che Luigino Bruni nell'articolo che citavo la volta scorsa descrive come "off limits".
Mi chiedo anche quanti cristiani praticanti conoscano la riflessione e le battaglie della Chiesa su questo tema: secondo me pochi, perché la pastorale sociale è irrilevante anche all'interno della Chiesa stessa. Quindi bisogna cambiare atteggiamento: dobbiamo chiedere ai centri commerciali di non aprire la domenica; ma prima ancora dobbiamo spiegare ai cristiani di non andarci, la domenica, nei centri commerciali, se ci credono*, come dice sempre Enzo Torri. Tra l'altro mi sembra che questo sia l'unico approccio rispettoso della libertà dei nostri interlocutori (ne ho già scritto altre volte), da trattare come persone adulte libere di dire di sì o di no e non come bambini da catechizzare.
Può essere che i frutti non li vedremo nemmeno noi. Per una rivoluzione culturale ci vuole tempo e perseveranza, e la guerra culturale con il secolarismo, a breve termine, è persa. Può essere che ci attenda un periodo di piccole comunità (persone, famiglie, parrocchie) che tengono viva la gioia del Vangelo, qualcosa di simile all'opzione Benedetto.
Ma non dobbiamo perdere la speranza cristiana. Perché ce lo promette il Signore. E anche perché la Chiesa ha già attraversato situazioni simili (non uguali, ma simili) in altri tempi: durante le persecuzioni del III secolo, durante le invasioni barbariche, nell'epoca delle monarchie liberali anticlericali. E ne è sempre uscita trasformata e maturata.
Joseph Schumpeter, l'economista e pensatore della "distruzione creatrice", scrive nel 1942 checinquant'anni prima, ai tempi della Rerum novarum,
Questa rinascita era dovuta grandemente all'attivismo sociale dei cattolici di fine Ottocento, ai tempi del "Non expedit" e dell'Opera dei Congressi. Adesso siamo in una situazione di "non expedit" di fatto, vista la scomparsa dei cattolici dalla politica. Chissà che, imparando da Leone XIII e dalla storia, fra cent'anni non potremo anche noi scrivere qualcosa di simile.
La Chiesa cattolica era oggetto di provvedimenti legislativi e amministrativi da parte di governi e parlamenti ostili. [...] Quello che nessuno avrebbe immaginato era che, un po’ dovunque, questi attacchi sarebbero stati costretti a battere in ritirata lasciando la Chiesa più forte di quanto non fosse mai stata negli ultimi secoli. Il cattolicesimo politico sorse dalla rinascita del cattolicesimo religioso. A ben guardare quello che risalta non è la semplice riasserzione del punto di vista cattolico da parte di gente che non l’aveva mai abbandonato, ma un ritornare sui propri passi da parte di coloro che dal cattolicesimo si erano allontanati. Attorno ai primi del ‘900 era facile notare come nelle famiglie di tradizione cattolica i vecchi e gli anziani erano atei e liberali, mentre i più giovani erano credenti e “beghini” [...] Sin dai primi suoi passi il cattolicesimo politico si batté per le riforme sociali.
* personalmente non sono del tutto convinto di questa battaglia, ma non è questo il punto.
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