Solo oggi trovo qualche minuto per commentare l'interessante articolo di Panebianco sul Corriere di lunedì.
Mi pare un'analisi abbastanza illuminante sul male della politica italiana in periodo elettorale, la coalizione a tutti i costi. E non è nemmeno colpa della legge elettorale, che è anche variata, ma del metodo maggioritario in sé, anche se questo potrebbe essere "calmierato" da alcuni accorgimenti (dalle soglie di sbarramento anche per i partiti coalizzati al divieto di creazione di gruppi parlamentari - con le relative prebende - non legati a liste presentate alle elezioni, in modo da rendere più difficile che più partiti collassino in una sola lista).
La soluzione ideale (cito) per Panebianco sarebbe che "i partiti che contano si orientassero verso «coalizioni minime vincenti»: sufficientemente grandi per vincere le elezioni e sufficientemente piccole per assicurare una certa coerenza programmatica".E' un ottimo principio: con questo principio si riuscirebbe a governare meglio.
Il problema è: con questo principio si riescono a vincere le elezioni? Solo se c'è la massima onestà tra le parti, ovvero - in un sistema bipolare - se sia la destra che la sinistra rinunciano ad imbarcare quanta più gente possibile in coalizione. Per esempio, nel 2008 Veltroni tentò un abbozzo di "coalizione minima". Berlusconi non ci pensò nemmeno, e imbarcò da Dini alla Mussolini. Abbiamo visto com'è andata.
Il sistema della "coalizione minima" non può purtroppo essere imposto per legge, in quanto si fa fatica a individuare criteri oggettivi per valutare l'"accettabilità" di un'alleanza, e quindi regge solo sulla buona fede e la correttezza di tutti i concorrenti. Basta che uno solo non ci stia, e crolla tutto il castello di carte.
Come altre posizioni ideali (il comunismo, la "decrescita felice", il "liberalismo solidale") che si basano su assunzioni di reciproca correttezza, insomma, credo che sia un principio praticamente impossibile da attuare.
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