Tra i moltissimi spunti lasciati nella lunga riflessione, ne segnalo alcuni.
- In questi capitoli si parla della socialità (andate e popolate la terra, la costruzione della città, le mogli e i figli...) ma non c'è mai la politica (la città non ha un "sindaco", non si parla di re, di capi sacerdoti, di amministratori). Questo dovrebbe forse dirci qualcosa sul fatto che la società precede la politica.
- D'altra parte, dopo generazioni, l'unica "autorità" presente sembra essere quella di Lamech, che distorce il messaggio di Dio sulla vendetta (che Dio si riserva e mette a protezione di Caino) e lo volge in un messaggio di violenza. Questo è un atteggiamento quasi mafioso (piegare la religione ai propri interessi). Forse la società senza la politica corre questiu rischi.
- Il vescovo ha ricordato che in seguito arriveranno le forme di politica, o meglio di autorità: prevalentemente (da Babele all'Apocalisse) gli imperi, dove un potere controlla tutto e crea omologazione. Oggi questo effetto l'hanno i potentati economici, le multinazionali, che creano una società del consumo in cui tutto è in vendita, tutto ha un prezzo. Compreso l'utero, come ha ricordato un corsista. Questo nesso mi ha fatto pensare ancora una volta alla falsa dicotomia tra cattolici del sociale e cattolici della morale.
- Il vescovo ha poi citato la forma di autorità dei re, sottolineando che Israele era diverso dagli altri popoli: lì il re è un servo di Dio a servizio del popolo, non è certo un dio egli stesso, come per i faraoni e i regni orientali che richiedevano la proskynesis davanti al sovrano. Davide e Salomone ben sanno che Israele non è il loro popolo, è il popolo di Dio, unico vero re d'Israele (altro che "non abbiamo altro re che Cesare"). Questa considerazione della regalità avvicina gli ebrei molto più al mondo classico greco e romano che a quello orientale, corroborando le radici giudaico-cristiane dell'Occidente.
- Infine, il vescovo ha detto che le arti sono un fatto molto importante: spesso i migliori interpreti dei tempi sono i poeti. Mi ha ricordato quando il professor Belardinelli citò il pessimismo letterario a cavallo dei secoli XIX e XX come anticipatore della crisi che sarebbe arrivata dopo la Belle Époque.
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