Torno sull'analisi dei due articoli dello scorso post, da Jacobin Italia e dal New York Times, per affrontare un altro tema, dopo quello della figura di Draghi e dei governi tecnici: il programma che questi governi attuano.
Come dicevo in chiusura la scorsa volta, le elezioni 2018 in Italia furono vinte da due partiti populisti ed euroscettici.
La legislatura si aprì con Mattarella che rifiutò un ministro euroscettico (cosa su cui ebbi qualche riserva già allora), e si chiude con un governatore della BCE a fare il capo del governo e le riforme richieste dall'Europa per il PNRR.
Draghi è la quintessenza del TINA: there is no alternative.
La strada è segnata, non ci sono
alternative, e sarà così anche per il prossimo (?) governo Meloni, che non per nulla si sta già caratterizzando come fiera atlantista e persino attenta al bilancio.
Questo meccanismo a suo modo "funziona" e "fa funzionare" le cose.
A me può anche piacere, perché sostanzialmente concordo con un ragionevole status quo, ma prima o poi dovremo chiederci quanto sia democratico.
Io ho l'impressione che tra la gente che vota partiti populisti e "di pancia", oltre a una parte di zoccolo ideologico, ci sia
una forte componente di gente che di suo non sta male, ma che vede che le
cose progressivamente vanno peggio, che i figli fanno fatica e che devono
aiutarli di tasca loro eccetera.
Questa fascia manifesta il suo
disagio e la sua preoccupazione votando partiti che in qualche modo
contestano lo status quo, anche se in modo sguaiato (e magari indicando
facili capri espiatori).
Mutuo questa riflessione (da qui):
Dalla Direzione Pd emerge che il pareggio non è contemplato: esiste un bipolarismo valoriale tra progressisti e conservatori?
Io non mi sentirei di definire la destra di oggi una destra conservatrice.
Vi sono molti altri aggettivi con i quali la si può definire, ma la partita non è tra progressisti e conservatori.
La partita è fra quella che si potrebbe definire élite alto-borghese che propone la permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati; e una vasta platea di Italia, diciamo così, piccolo borghese, portatrice di disagi, malumori, interessi settoriali, meno coinvolta nella dimensione valoriale, illuministica e programmatica, che viene fatta propria dal centro sinistra. Un’Italia più interessata alla difesa del tenore di vita, del proprio piccolo business e a far valere la propria protesta, non sempre immotivata, sia ben chiaro.
La destra i voti li prende sulla base del fatto che i problemi sono reali e a quei problemi il centro sinistra non dà (per ora) soluzione.
Chi anela confusamente a un cambiamento non aspira certamente alla "permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati"*.
Il
problema è che uscire dagli schemi di questi circuiti internazionali
collaudati (la maggioranza Ursula, il capitalismo, l'atlantismo
ortodosso, il progressismo solo nei diritti individuali) è ad oggi
impraticabile.
Mi pare lo stesso muro di gomma su cui si schiantò
Tsipras, su cui si è schiantato il Conte I (ricordiamo la pantomima del
deficit al 2.4% che diventò 2.04%...), su cui si schianta regolarmente
ogni voce eterodossa.
Quindi si entra in un circolo vizioso per cui in poco tempo emergono altri partiti populisti, si allarga l'astensione, e per far fronte a questo si coalizzano maggioranze di "responsabili" (la maggioranza Ursula) né di destra né di sinistra, e via dicendo. Con il rischio che un giorno il ballottaggio in Francia sarà tra Le Pen e Melenchon.
Questo non vuol dire che bisogna votare per gli eterodossi, o che hanno ragione loro; ma che prima o poi bisognerà porsi il problema della democratizzazione delle istituzioni che incarnano questi "circuiti politici" ortodossi, come per esempio la Commissione europea e la catena decisionale di Bruxelles.
* questo tra l'altro dipinge il PD come un partito sostanzialmente conservatore; non per nulla ha la sua base elettorale tra i garantiti, i pensionati, i dipendenti pubblici, le ZTL: gente che sta bene e non anela a cambiamenti, ma solo aggiustamenti con il "cacciavite" (cit. Letta).
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