lunedì 23 giugno 2025

Germani Brescia seconda, e va benissimo così

Solo due brevi parole per la Germani Brescia.

Dopo il capolavoro in semifinale con Trapani, la finale è andata com'è andata. Milano e Bologna sono di un altro pianeta,  qualche volta capita che siano dallo stesso lato del tabellone, bisogna essere bravi a infilarsi in quel caso, ad approfittare dell'occasione. Missione compiuta.

Si poteva vincere gara 1, ma l'effetto sarebbe stato solo perdere in 4 invece che in 3 partite. Lo abbiamo già visto qualche anno fa, in semifinale contro Milano, battuta in gara 1 al Forum e poi venuta a vincere due volte a Brescia. Certo, sarebbe stata una festa avere due partite di finale in casa.

I giocatori, nbravi tutti. Purtroppo c'è un motivo se non giocano in squadre di Eurolega, ma hanno fatto il meglio. Da ex lungo, Miro Bilan è stato davvero fantastico, un'enciclopedia di pallacanestro. Bella anche la festa in piazza dopo la finale, con i giocatori in mezzo alla gente, alle famiglie, ai bambini.

 

martedì 3 giugno 2025

Che bel Giro!

Che gran Giro d'Italia che è uscito fuori quest'anno, senza le stelle al via!

Praticamente nessuna tappa deludente, praticamente solo quella aostana di Champoluc, compensata da un finale spettacolare, due ore in punta di sedia a vedere cosa succedeva. Merito di Yates, sono contento per lui, e demerito di Del Toro e dell'ammiraglia UAE che hanno buttato via il primo posto praticamente rinunciando a provarci, in modo stranissimo. Avevano cominciato a perdere la corsa quando hanno lasciato (loro e la EF, ma la maglia rosa l'avevano loro) Van Aert a 10 minuti, aprendo la possibilità che potesse scollinare il Finestre prima del gruppo. Con un uomo a testa a tirare il gruppo avrebbero potuto tenere la fuga a 5 minuti e avere Van Aert riassorbito in salita. Ma poi, quando vedi Yates guadagnare un minuto, e poi andare in maglia virtuale, perché non reagire? Il ciclismo è bello anche per questi momenti.

Alcuni appunti sparsi. Sorpresa positiva l'Astana, che bravo Scaroni! Si è visto il crescendo di forma, è partito in sordina ma la seconda metà l'ha fatta sempre davanti. Lidl-Trek oltre le aspettative già alte, hanno vinto tappe con 3 corridori diversi nonostante il forfait di Ciccone dopo Gorizia.
Molto deludenti Q35 (Pidcock insufficiente), Soudal (va bene che Landa è caduto, ma Maigner e tutti quelli che non erano Garofoli trasparenti), Decathlon tranne un ottimo Proudhomme (bel futuro, deve decidere se diventare un gregario alla Majka o uno scalatore da fuga/pois alla Ciccone o Barguil) controbilanciato da un Sam Bennett assolutamente impresentabile. Pure Polti tradita da Piganzoli.
Ineos ha raccolto secondo me meno del seminato. Premio Fantomas a Rubio ottavo alla fine. Storer decimo come lo scorso anno ma stavolta dopo il Tour of the Alps ci si aspettava tutti di più.

sabato 31 maggio 2025

Verso il referendum sulla cittadinanza

Torniamo sul quinto referendum, quello sulla cittadinanza. Ne sento parlare poco, rispetto a quello che mi sarei aspettato. Mi sarei aspettato che il dibattito si sarebbe concentrato più che altro su questo quesito, invece mi pare che si parli di tutti più o meno allo stesso modo. Forse è dovuto al fatto che la forza trascinante è la CGIL.

Nel merito, è il quesito più semplice e comprensibile di tutti: ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza minimo per poter richiedere la cittadinanza.

Se dovessi giudicare nell’empireo, cinque anni da quando si mette piede in Italia mi sembrerebbero pochi. Si obietta che in realtà ci sono i tempi biblici della burocrazia italiana, che fanno sì che una domanda venga evasa in tre o quattro anni, perciò quando si dice cinque in pratica diventano almeno otto. Ma sempre dall’empireo potrei ribattere che la legge modificata dal referendum direbbe cinque e non otto, e se domani si risolvessero i problemi burocratici (…) qualcuno potrebbe avere la cittadinanza dopo cinque anni e un giorno.
Al di là della evidente impossibilità di questo discorso puramente ipotetico, al nostro Candide che vive nell’empireo si può ribattere che in realtà i cinque anni sono solo uno dei molti requisiti per la cittadinanza: ci sono anche la fedina penale pulita, propria e dei famigliari, la conoscenza della lingua (il livello B1 è tale che metterebbe in difficoltà anche un buon numero di autoctoni…), la residenza certificata e continuativa, la capacità contributiva, oltre alle spese vive della pratica che fanno da barriera d’ingresso. Considerando che in giro per l’Europa 10 anni sono sostanzialmente una eccezione (come noi tra i grandi e medi Paesi occidentali solo la Spagna richiede una attesa così lunga, in mezzo a molte leggi da 5/6 anni) io non vedo ostacoli.

L’unica controindicazione che mi sovviene, che però più che una obiezione è una specie di ricatto, è che il requisito di fedina penale pulita da parte dei familiari conviventi è una possibile arma di pressione quando le seconde generazioni danno problemi, cosa che statisticamente (vedi anche la Francia) succede piuttosto di frequente. Un ragazzo problematico viene magari tenuto a bada (o spedito dagli zii d’origine) se rischia di mettere a repentaglio la richiesta di cittadinanza; una volta arrivata la carta d’identità questo mezzo di pressione viene meno. Ma, come scrivevo, si tratta di una specie di ricatto.

Due osservazioni più generali. La prima: qualche tempo fa la Corte Europea di Giustizia ha condannato Malta per la “vendita” di passaporti maltesi, sostenendo che "Una siffatta prassi non consente di accertare il necessario vincolo di solidarietà e di lealtà tra uno Stato membro e i suoi cittadini. Questa sentenza sembra suggerire che la cittadinanza va “meritata” e che criteri troppo laschi non sono accettabili nell’UE. Non credo che sia decisamente il caso dei cinque anni di cui parla il referendum, visto che è la stessa norma presenta in molti altri Stati, ma è una impostazione interessante.

Secondo me tutta questa attenzione e cautela è data dalla “definitività” della attribuzione di cittadinanza, che una volta data non si può togliere (se non in casi estremamente eccezionali). E vengo alla seconda osservazione: secondo me bisognerebbe dare molto più peso alla residenza che non alla cittadinanza. Come se fosse una specie di “cittadinanza a tempo”: per il principio no taxation without representation, dopo un certo tempo in cui vivo e pago le tasse in un posto dovrei votare lì, come anche (cose che succede già) usufruire lì di sanità e servizi pubblici. Allo stesso modo, se da un po’ non vivo in Italia potrei anche perdere il diritto di votare qui, per recuperarlo quando torno. Insomma, ci dovrebbe essere meno differenza tra cittadini e non cittadini nella vita di tutti i giorni. Più residenza, meno cittadinanza!

venerdì 30 maggio 2025

Verso i referendum sul lavoro

Trovo qualche momento per buttare giù qualche impressione sui referendum prossimi venturi. Lo faccio partendo da questo articolo.

Sul primo quesito, sulla disciplina di licenziamenti e reintegri, mi par di capire che la scansione è stata: una volta c’era l’articolo 18 per tutti i dipendenti di aziende sopra i 15 dipendenti, poi si sono introdotte varie leggi, tra cui Fornero, Jobs Act e sentenze della Consulta, che hanno creato una situazione più frammentata. Il referendum ripristinerebbe l’obbligo di reintegro (l’azienda non se la cava “semplicemente” pagando) per una parte di queste casistiche, i licenziamenti collettivi (quindi non si tornerebbe al vecchio articolo 18), passando da un giudice che deve valutare se siano stati effettuati per motivi giudicati illegittimi.

Sul secondo quesito, riguardante l’importo degli indennizzi per licenziamenti nelle piccole imprese, si vuole abrogare il limite di sei mensilità (aumentabili fino a 14 in alcuni casi) consentendo al giudice di decidere caso per caso.

Sul terzo quesito, riguardante i contratti a termine, si vuole ripristinare l’obbligo di esplicitare la causale. Principio secondo me sacrosanto, ma che probabilmente verrà aggirato con causali generiche tipo “picco di lavoro” per cambiare poco o nulla a livello pratico, con solo qualche scartoffia in più. Si potrà forse dimostrare l’inconsistenza di queste motivazioni fittizie passando da un giudice.

Questi primi tre quesiti mi sembrano tutti sulla stessa falsariga: il principio che si vuole perseguire è corretto. Le imprese magari lamenteranno gli oneri, i lacci e lacciuoli e così via, ma è anche vero che numeri alla mano la libertà e flessibilità introdotta dal Jobs Act non ha portato a chissà quale aumento di contratti e vivacità di lavoro. Nel perseguire questo principio, però, i referendum sono formulati in modo tale che l’effetto sia limitato e interessi pochi casi. Tra l’altro tutte le possibilità che verrebbero introdotte con la nuova disciplina richiederebbero l’intervento del giudice, che se in astratto è opportuno – è giusto che un giudice valuti ogni caso a sé stante prendendo decisioni specifiche – in pratica vuol dire imbarcarsi nei tempi biblici della giustizia, soprattutto civile, e nei relativi costi. Quanti lavoratori hanno la voglia o la possibilità di impegnarsi in anni di contenzioso, invece di accettare comunque un indennizzo? Alla fine cambierebbe probabilmente poco, con in più un effettivo aggravio di burocrazia e carico giudiziario, senza contare (secondo quesito) che avere un quadro più certo e meno aleatorio potrebbe essere gradito non solo alle imprese ma anche ai lavoratori. Ciò non toglie, tornando a bomba, che io sia d’accordo coi principi verso cui tendono tutti e tre i referendum. 

Sul quarto quesito, sulla responsabilità tra appalti e subappalti, la questione è complessa. Se non ho capito male, già oggi il committente e la ditta appaltatrice sono corresponsabili con le imprese subappaltatrici in caso di infortuni ai dipendenti di queste ultime, ma con una eccezione: ciò non si applica quando l’attività dell’appaltatrice sia totalmente estranea a quella del committente, che quindi non ha competenza in quel campo, che è specifico dell’appaltatrice. Detta così, sembra che – a differenza degli altri casi – l’attuale disciplina segua un principio corretto. E però i casi in cui il committente finisce per lavarsene le mani della sicurezza dei subappalti possono essere molti, troppi, stante la abitudine di creare società ad hoc per certi bandi, magari con motivazioni finanziarie (vari soci che investono il loro capitale in una impresa costituita per l’occasione) o, anche senza arrivare alle imprese ad hoc, vista comunque l’ampia diffusione dei subappalti e delle esternalizzazioni. Il risultato è che capita che delle imprese prendano appalti per lavori su cui hanno poca o nulla competenza specifica, che quindi viene delegata ampiamente, delegando anche la responsabilità. Si consideri poi che il criterio sugli appalti è solitamente il massimo ribasso, perciò la pressione sulla sicurezza è alta. La soluzione ai problemi di sicurezza allora qual è? In teoria dovrebbero essere più controlli e più ispettori. Il referendum vuole – si può dire in due modi: più responsabilità/corresponsabilità ai massimi livelli, che suona bene, oppure: più sanzioni anche ai massimi livelli, che invece può essere letto come un approccio punitivo che abbiamo visto anche a destra su tanti altri ambiti. Quanto al massimo ribasso, il problema c’è sempre stato e sempre ci sarà, non è oggetto del referendum ma mi pare anche che non si sia mai trovato un metodo funzionale per superare questo metodo e le sue controindicazioni.

Grande è la confusione sotto il cielo, tanto che sulla cittadinanza tornerò un’altra volta…

giovedì 24 aprile 2025

Isaac Asimov

Segnalo questo articolo molto completo sulla figura di Isaac Asimov, che condivido praticamente al 100%.
Parliamo di un genio assoluto, che ha la piccola "colpa" di aver indirizzato, con il suo stile asciutto e semplice, la fantascienza tutta verso quella direzione, o quella vulgata.
Ma i suoi sterminati racconti sono una summa filosofica di domande sulla realtà, l'esistente, il sapere, in definitiva su cos'è l'uomo.
Sono la versione fantascientifica delle tragedie greche, senza essere tragedie ma con in più l'ottimismo.
Questo passaggio
Un paradosso ambulante: l’uomo che è stato un pilastro della “space opera” raramente lasciava New York. E di solito prendeva il treno.

mi ricorda Salgari, l'uomo che descrisse mondi esotici e avventurosi senza allontanarsi mai dalla pianura padana.

Salgari e Asimov, due pilastri della letteratura per ragazzi. A 10-12 anni divoravo il primo, il secondo l'ho conosciuto un po' tardi - probabilmente l'età giusta è l'adolescenza tra i 15 e i 20 ma l'ho divorato ugualmente.
E entrambi non li rileggo, per evitare il fatto che "invecchiano male". Ma sarà vero, poi, di Asimov? Forse i cicli sì, ma le novelle, molte novelle sono geniali a ogni età.

 

martedì 22 aprile 2025

Il lascito di papa Francesco

Alla morte di un papa è normale fare dei bilanci.

Papa Francesco lascia, secondo me, una impronta dottrinale forte, la Laudato si', una impronta pastorale ben visibile ma non so se altrettanto forte e una eredità problematica.

Cominciamo dalla Laudato Si'. Prima di essa non c'era una sistemazione organica del tema ecologico nella dottrina sociale della Chiesa. Francesco inoltre non ha solo parlato di ecologia, cosa che si sarebbe potuta fare in molti modi, ma ha legato il tema a un'impostazione complessiva, quella dell'ecologia integrale, che unisce ("tutto è connesso") la tematica ambientale a quella sociale e pure a quella etica. Un mondo che genera "scarti" tra le persone, tra i bambini non nati, non può non generare scarti anche nell'ambiente. La cosa assomiglia parecchio alla connessione che fece madre Teresa di Calcutta quando nel discorso di accettazione del Nobel parlò dell'aborto come maggiore minaccia alla pace.

Questa impostazione di condanna dello scarto e della sopraffazione di uomini su altri uomini si è tradotta in una forte attenzione pastorale per le periferie, per i poveri, per gli immigrati. Anche a livello episcopale le nomine hanno seguito questa attenzione, e mi pare che oggi le diocesi siano più impostate, nella loro attività, verso questi richiami "sociali" (che purtroppo spesso sono un po' gli unici che rimangono a livello mediatico, ma è sempre papa Francesco che ci ricorda che "la Chiesa non è una ONG"). Non sono convinto che questa attenzione sarà prioritaria in maniera definitiva, ho la sensazione che una parte della Chiesa l'abbia un po' subita.
Si tratta infatti di una sensibilità marcatamente "di sinistra", e si vede bene quando questa è trasferita all'economia. Un'altra espressione ad effetto di Francesco è quella che parla di "un'economia che uccide". Francesco era probabilmente l'ultimo critico del capitalismo, sistema ormai trionfante in tutto il mondo e dato per presupposto sia in sistemi liberali che nelle dittature. E' come se la famosa "fine della storia" di Fukuyama, che tutti ormai hanno riconosciuto come un abbaglio, per il sistema economico sia invece effettivamente avvenuta.

E qui veniamo alla considerazione "politica" del suo pontificato. La parte sociale ed economica è stata certamente di "sinistra", anche se oggi la sinistra occidentale si qualifica più per i temi etici e i cosiddetti "diritti civili", su cui il papa è rimasto saldo alla dottrina, e quindi di "destra". Marx inorridirebbe, visto che Bergoglio si è trovato ben più a sinistra della sinistra occidentale sulla "struttura", ma tant'è, viviamo in tempi strani.

E questa collocazione è stata il problema di Bergoglio come di Paolo VI.
Non è vero che sono stati espressione della fazione più "di sinistra" della Chiesa. Ci sono molte posizioni più "di sinistra" nella chiesa, dai teologi della liberazione ieri alla conferenza episcopale tedesca oggi fino a gente con un piede dentro e uno fuori come Noi siamo Chiesa.
Al massimo Bergoglio e Montini sono stati espressione delle posizioni più "di sinistra" che fossero anche papabili.

Però le loro aperture di inizio pontificato sono state prese al volo dai progressisiti più progressisti per cercare di tirare acqua al mulino di posizioni più avanzate di quelle effettivamente espresse dal papato, da qui la percezione "più di sinistra" che poi è stata inevitabilmente frustrata ma che ha creato un'etichetta.
Con Montini ci riuscirono abbastanza (la riforma liturgica è andata molto oltre quelli che erano gli auspici vaticani), con Bergoglio meno ma creando comunque un gran movimento centrifugo.
Il sinodo sull'Amazzonia negli auspici di molti doveva essere il grimaldello per ridiscutere il sacerdozio, il celibato e il diaconato femminile, ma partorì un topolino; la questione della conferenza episcopale tedesca non è ancora rientrata, e comunque ci sono anche molte altre conferenze episcopali che fanno di testa loro, non solo in senso conservatore ma anche su questioni come matrimoni gay o comunione alle persone in condizione irregolare.

Quindi Paolo VI e Francesco, che avevano iniziato il pontificato all'insegna dell'accoglienza e del dialogo con il mondo (che dal loro punto di vista, sono sicuro, era in perfetta buona fede un'accoglienza forti delle proprie certezze: "tu interlocutore sentiti accolto, curato, ascoltato, poi man mano capirai la profondità dell'amore di Cristo che si traduce nell'insegnamento della Chiesa") hanno passato la seconda metà del pontificato a cercare di chiudere il recinto dopo le fughe in avanti di alcuni, che hanno interpretato questa accoglienza come una riforma dottrinale. Paolo VI non ci riuscì, Bergoglio ha cercato di ricentralizzare parecchie decisioni ma le conferenze episcopali nazionali create dopo il Concilio ormai hanno una autonomia spiccata e camminano comunque con le proprie gambe.

Per questi motivi il conclave prossimo è il più importante da quelli del 1978, quando ci si trovava a dover trovare un Papa che potesse gestire una situazione che stava sfuggendo di mano con molte spinte centrifughe. Il conclave del 2005 era "telefonato", quello del 2013 fu improvviso e le fazioni non si erano "preparate". Adesso sono anni che c'è chi lavora dietro le quinte.

Con tutto che la strada dell'autonomia locale, nazionale, persino diocesana secondo me è comunque abbastanza segnata.
Si è visto anche nella questione del sinodo della chiesa italiana, dove la votazione dell'assemblea ha bocciato la sintesi scritta dai vescovi. Ci sono movimenti centrifughi di difficile gestione: la Chiesa non è una democrazia, e voglio vedere se questo fatto della votazione da parte di assemblee allargate si ripeterà; queste spinte richiedono risposta; e però se le Conferenze nazionali devono dare queste risposte perché più vicine ciascuna alla loro "base", in Vaticano la sinodalità è stata progressivamente accantonata. Bergoglio ha proposto numerosi "commissariamenti" di ordini e enti e ha imposto dall'alto alcune novità anche agli ordini monastici, si dice malviste.

Ma ormai i processi sono stati avviati, per usare un'altra espressione cara a papa Francesco. I migliori auguri - o meglio, le migliori preghiere allo Spirito - perché il prossimo Papa avrà davanti un compito di mediazione assai arduo.

venerdì 18 aprile 2025

Il senso delle scuole private

Negli USA è in corso una battaglia tra l'amministrazione Trump e alcune università tra le più prestigiose del Paese. Università private, di quelle con rette costose e frequentate dai figli della classe dirigente. Quelle della Ivy League.

Ho sempre pensato che il senso ultimo della libertà di insegnamento e (quindi) delle scuole private sia esattamente il fatto che possano fare da argine o da forma di resistenza quando lo stato prende derive autoritarie.

Il prezzo di questa riserva di resistenza è, in tempi "normali", la presenza di diplomifici (per esempio in Italia) o scuole profondamente classiste (la Ivy League, appunto) o di varie tendenze discutibili, settarie quando non antiscientifiche (scuole parentali, steineriane, creazioniste...). Non tutte le scuole private ovviamente sono così, ma se l'insegnamento è libero allora è libero anche in queste direzioni.

Ma sono prezzi che secondo me è giusto pagare come "assicurazione" per i tempi grami, vedi da noi per esempio il ruolo delle scuole religiose in Alto Adige nella resistenza "culturale" al fascismo.