Come all'avvicinarsi di ogni elezione, ricompare qualche pensoso editoriale che parla della scomparsa dei cattolici.
Mi è pure passata la voglia di ragionarci, sono più o meno sempre le stesse analisi (l'evoluziona storica, Tangentopoli, il ruinismo, i valori non negoziabili) e nessuna prospettiva di cambiamento.
Propongo una lista di articoli.
Comincia Andrea Riccardi sul Corriere, con l'analisi storica seguita dalla sottolineatura del ruolo fondamentale dei corpi sociali cattolici.
Risponde l'immancabile Ernesto Galli della Loggia, con l'immancabile richiamo allo smarrimento dei valori e una conclusione curiosa: i cattolici dovrebbero scherarsi o di qua o di là, non al centro.
Curiosamente, mi pare una conclusione affine a quel che aveva scritto Marco Damilano in un lungo articolo su Domani qualche tempo prima, con una evidente preferenza per la sinistra, cosa che non so se Galli della Loggia condividerebbe...
Flavio Felice e Dario Antiseri propendono invece una presenza autonoma cristianamente ispirata: ai cristiani non mancherebbe la truppa, ma lo stato maggiore.
Che però non si intrevede all'orizzonte, nell'epoca dei leader.
Anche il tentativo di Insieme, che sembrava dover portare a un partito con capofila il prof. Stefano Zamagni, mi pare sostanzialmente arenato; lo stesso Zamagni ha partecipato al dibattito con un articolo a mio parere piuttosto vago, che tenta di tenere insieme l'etica comune, il pre-politico e il politico.
Il professor Giovagnoli su Avvenire minimizza persino che il problema dal lato cattolici, ributtando la palla nel campo della politica: esempio, a mio parere, di testa sotto la sabbia; oppure di fatalistica rassegnazione. E chissà, potrebbe pure avere ragione lui.
Di tutto il dibattito, riporto queste parole di Giuseppe Boschini su Settimana News:
La terza strada – la più difficile e incerta per il mondo cattolico – è quella di trovare una posizione sensata e sostenibile per i giovani credenti (e non solo per i giovani) nella società dei “diritti individuali”, del modello familiare “tradizionale” che si disgrega, della libertà nelle scelte sessuali, del fine-vita che si allunga e sfilaccia, e così via.
Damilano centra il punto esattamente quando delinea la cultura delle libertà individuali come la sfida centrale per il futuro delle nostre democrazie. Libertà (termine che trovo più appropriato rispetto a “diritti”) che sono talmente permeate nell’identità giovanile da non lasciare per nulla esenti i giovani credenti: parlate con loro, in parrocchia, di omosessualità, fine-vita, aborto, per rendervi conto di quanto siano ormai lontani – con eccezioni solo per quelli toccati dai movimenti più radicalisti – dalle posizioni ordinariamente attribuite alla Chiesa cattolica. E inderogabilmente permeati dalla cultura dominante del loro tempo. [...]
Sto dicendo, insomma, che al “ritorno dei cattolici in politica” manca proprio il motore, la base. Ossia quella formazione diffusa, nelle parrocchie, che un tempo sensibilizzava e orientava all’impegno politico – dai più piccoli consigli comunali fino a Palazzo Chigi – intere generazioni di giovani credenti. Non tanto perché oggi, nelle parrocchie, o nella maggior parte di esse, dopo il ventennio ruiniano, parlare di impegno politico nei gruppi giovanili (se ci sono ancora) è una rarità. In fondo, alcune diocesi con governi “illuminati” e alcuni movimenti – l’Azione Cattolica e l’Agesci sicuramente – pur con piccoli numeri, questo lavoro educativo ancora lo fanno: disperatamente, residualmente, ma lo fanno.
Il punto è che in questi percorsi formativi si sente totalmente la mancanza della “benzina”: una sintesi teologica e morale credibile, nuova, accattivante, sfidante, non banale e stereotipa, non “antica di 60 anni”, che si faccia carico fino in fondo della sfida dell’incontro tra modernità digitale e messaggio evangelico. Una infrastruttura di pensiero come quella che i giovani “cattolici democratici” trovarono in De Gasperi e Dossetti, quando fu ora di capire – nel 1945 – come potevano stare insieme democrazia e cristianesimo. Ma che sia attuale per il 2030.
Forse però, prima di scomodare modifiche magisteriali, l'infrastruttura andrebbe trovata dai laici.
Senza la pretesa che il magistero si sganci da sé stesso, e senza la paura di sganciarsi dal magistero, perché capaci di distinguere tra religione e politica.
Nessun commento:
Posta un commento