Proseguo il discorso iniziato qui.
Ho finito la lettura. Il libro non è scorrevole, ma alla fine è risultato gradevole. La prima e la terza parte sono un bel compendio di cattolicesimo liberale, e sono un florilegio di citazioni, che come fonti non vanno mai male.
Ho trovato particolarmente convincente e affascinante la trattazione prospettata dal professor Felice nella sua sezione: la società aperta, poliarchica, pluriarchica, inclusiva è senz'altro un modo molto efficace di perseguire il bene comune. Tutto molto bello, persino troppo: il dubbio è che la cosa non sia troppo realistica, come accade per molte "visioni" teoriche. O meglio: questo tipo di società funziona se c'è anche della virtù negli uomini. Gli intangibles, come li chiamano gli americani, fanno la differenza.
Riflettevo inoltre, in questi giorni, sul concetto di "contendibilità", di "concorribilità" che caratterizza queste società.
Felice traccia un reciproco legame tra società, democrazia ed economia, come se l'apertura e l'inclusività di queste componenti non possano che andare a braccetto.
A me pare che il mondo politico italiano degli ultimi anni abbia dimostrato una grande contendibilità. Abbiamo alternato Berlusconi, Renzi, Salvini, Di Maio. Tutte persone per cui l'ascensore sociale ha funzionato bene, tutto sommato. Non aristocratici di famiglia o "figli di".
Invece l'economia italiana mi pare molto più restia alla contendibilità. Il capitalismo familiare è un capitalismo ereditario. I gruppi di potere sono sempre quelli. La situazione è piuttosto incancrenita, e infatti sappiamo che a livello sociale l'ascensore è ormai bloccato da tempo.
Le due cose quindi non vanno esattamente di pari passo.
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