In questi giorni, come centinaia di migliaia di italiani, sono stato nei cimiteri a visitare le tombe dei cari defunti.
Il clima non è esattamente quello più adatto al raccoglimento e alla preghiera, per via degli incontri con le altre persone convenute sul posto. Nulla di tragico: in fondo viviamo tutti di relazioni.
Però al cimitero si possono fare anche incontri di un altro tipo. Si incontrano le persone morte. Si vedono le tombe, si ricostruiscono volti, storie.
"Ah, quella dev'essere la mamma di quel mio compagno di classe".
"Questo è morto molto giovane." "Lo conoscevi?" "No, magari chiedo a mio padre, vedo che sono coetanei".
"Questo ha fatto il panettiere per decenni. Era nel negozio dove adesso c'è la profumeria".
Ho sempre pensato che i cimiteri siano una delle cose che ci rendono più umani. Perché il culto dei morti è una delle caratteristiche che ci distinguono dagli animali, pur ricordandoci che - come gli animali - condividiamo il limite della mortalità.
Ma il fatto che il culto sia portato tutti insieme è segno di relazioni, anche nella morte. Del fatto che viviamo in un paese, in una trama di intrecci, conoscenze, incontri. In una parola, di comunità.
Mi dispiace che con l'uso di portare a casa le ceneri di chi si fa cremare questo aspetto venga meno. Il culto è ritirato, personale. Ci saranno senz'altro mille motivi, affettivi, sentimentali... non voglio giudicare, ciascun caso è diverso dagli altri e ciascuno valuta liberamente la sua scelta.
Non posso comunque evitare di pensare che è un altro segno di una società che sceglie il segno dell'individualismo sopra il senso di comunità.
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