I temi principali sono stati due: i profughi e le missioni.
Riguardo ai profughi, la parrocchia si sta iniziando ad attivare per trovare delle soluzioni. Le possibilità secondo me sono tre:
- un'accoglienza in una struttura parrocchiale;
- un'accoglienza in un appartamento privato, magari sfitto;
- un'ospitalità da parte di qualche famiglia.
Secondo me si possono adottare tutti e tre gli approcci, però bisogna organizzarsi bene, perché l'accoglienza non è solo vitto e alloggio, ma anche assistenza legale, sanitaria, di mediazione culturale, e per questo ci vuole qualcuno di preparato.
In questo senso lo stesso Don Renato ha fatto notare che la prima soluzione sarebbe la più praticabile. Certo che l'accoglienza in casa sarebbe più "accogliente", ma sarebbe necessario affiancare le famiglie, anche solo nel trovar qualcosa da fare per occupare il tempo dei migranti, che non possono stare chiusi in casa a far nulla per tutto il giorno.
Comunque anche il samaritano soccorse il viandante, e poi lo affidò a una struttura (la locanda) predisposta per un'accoglienza di professione, mettendo a disposizione le risorse: non credo ci sia da vergognarsi.
Per quanto riguarda le missioni popolari, secondo me non abbiamo ancora ben chiaro cosa si dovrebbe andare a fare durante le visite alle famiglie: da una parte don Renato dice che non dobbiamo convertire nessuno, d'altra parte don Renato dice che dobbiamo portare il Vangelo nelle case.
Quindi andiamo a parlare della religione, magari chiedendo alle famiglie un parere? Cosa ne pensano, come la pensano loro? Magari a qualcuno chiederemo perché si sono allontanati dalla Chiesa? Potrebbe essere interessante...
Secondo me corriamo l'altissimo rischio che i momenti siano purissima retorica, che muore lì in un'imbarazzata cortesia. Io ricordo le missioni del 2000: già al tempo, pur avendo i padri oblati che le predicavano, il coinvolgimento dei parrocchiani fu ampio, anche allora per l'elementare osservazione che i padri non potevano visitare tutte le famiglie. Se non ricordo male, quindi, organizzammo dei momenti in casa di molte persone (tra cui casa mia) in cui i padri incontravano tutto insieme il vicinato, e fu mia madre ad andare a bussare alla porta delle persone per invitarli. Quindi il coinvolgimento dei fedeli "missionari" ci fu già allora, anche se non predicavano loro.
Io ricordo che la cosa fu un sostanziale fiasco: molte persone vennero solo perché in obbligo per via della conoscenza con mia madre, mentre non venne nessuno di quelli che non conoscevamo di famiglia.
Io resto dell'idea che raggiungere tutte le famiglie a prescindere sia sbagliato, per i motivi già esposti. Secondo me è giusto rispettare le scelte di tutti, incontrando solo coloro che lo desiderano. Potremmo fare la proposta a tutti via telefono, o via lettera, e poi incontrare solo chi risponde positivamente, o non negativamente. Almeno non suoniamo ai campanelli, che fa veramente testimoni di Geova importuni.
E comunque resto dell'idea che andare nelle case a parlare fa troppo "maestri", e non abbiamo bisogno di maestri, ma di testimoni. Si potrà obiettare che chi va a parlare nelle case già fa testimonianza. In parte è vero, ma la vera testimonianza - ci siamo sempre detti - è la propria vita, mentre fare il missionario parrocchiale è una parentesi estemporanea, "una tantum".
Nel senso della vita, sarebbero molto più testimoni i cristiani che aprissero la loro casa ai rifugiati. Se penso ai miei vicini, sarebbero molto più colpiti se io alloggiassi un rifugiato (magari qualcuno anche scocciato: "questo ci tira qui i giargianesi!") piuttosto che se li invitassi a una preghiera o andassi da loro a parlare a nome della parrocchia. Sicuramente sarebbero molto più provocati dalla scelta.
La vera missione si fa con le opere di misericordia. Secondo me abbiamo parlato di missione più quando abbiamo parlato di rifugiati che dopo.
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