Così oggi è il giorno delle liberalizzazioni. Sono stato in giro finora e non ho avuto gran tempo di sentire di cosa si tratta. Butto giù due righe con le impressioni, da ignorante di economia.
Non capisco come le liberalizzazioni possano portare a un aumento del PIL: se più concorrenza vuol dire prezzi più bassi, gli introiti complessivi dovrebbero diminuire. Un aumento dei consumi a compensare, con l'aria che tira, mi sembra inverosimile.
Inoltre è vero che in campi come farmacie e taxi le tariffe sono (almeno parzialmente) vincolate, le une ai rimborsi del Servizio Sanitario Nazionale, le altre alle decisioni dei Comuni.
Al contrario, credo che liberalizzare settori come i servizi pubblici, come vorrebbero molti benaltristi ("Non si esce dalla crisi con qualche farmacia in più! Sono altri i settori in cui non c'è libertà!"), potrebbe far crescere i prezzi: molti servizi mantengono tariffe inferiori alla media europea solamente grazie alle sovvenzioni pubbliche che integrano quanto pagato dall'utenza. Si pensi al trasporto: i treni locali vengono sovvenzionati dalla Regione, gli autobus della SIA (qui a Brescia) dalla Provincia. Sempre qui in città, è paradigmatico il caso della metropolitana, per cui il Comune dovrà intervenire economicamente per evitare di far pagare i biglietti a peso d'oro. Tutto ciò ha un senso: se la SIA fosse una società privata non sovvenzionata, che fine farebbero le corse per Marmentino, per dire? E' una forma di pubblico servizio, garantita anche in perdita.
Nonostante questi dubbi, però, credo che liberalizzare tutte quelle professioni che richiedono una licenza sia giusto non per un fatto di vantaggi, ma per un puro problema di giustizia. Perché deve esistere il concetto stesso di licenza? Perché deve esserci un numero chiuso? Io non me lo spiego proprio. Questo va a garantire alcuni (per esempio alcuni laureati in farmacia) rispetto ad altri con gli stessi titoli (ugualmente laureati in farmacia), ed è ingiusto. Inoltre si garantiscono alcuni imprenditori (i tassisti, per esempio) rispetto ad altri imprenditori che fronteggiano una concorrenza senza limitazioni. Perché un tassista deve avere la garanzia che non avrà mai più di tanta concorrenza, mentre - che so - un idraulico può vedere due o tre idraulici che iniziano l'attività nel suo stesso circondario?
Non mi sono proprio mai spiegato questa cosa delle licenze. Ieri sera da Vespa c'era la presidente di FederFarma, che diceva di non essere contraria a un aumento delle licenze, "ma non più del 10%, altrimenti il sistema non è sostenibile". E chi decide che il sistema deve essere sostenibile a favore di chi è già farmacista, a cui deve essere garantito un introito, un bacino d'utenza sufficiente? Oggi il sistema non è sostenibile per altri laureati in farmacia che non hanno la possibilità di aprire una farmacia. Secondo la presidente di FederFarma, quindi, la torta va spartita solo in fette abbastanza grosse e solo per chi c'è già. Io invece credo che andrebbe resa accessibile a tutti quelli con un titolo sufficiente (la laurea), e chi sarà più abile mangerà la fetta più grossa.
Certo ci sono problemi pratici in una liberalizzazione completa, come per esempio il rischio di veder chiudere le farmacie nei piccoli centri, ma si può allora pensare di gestire a licenze le farmacie dei centri piccoli o montani, garantendo a chi sceglie di stare lì un bacino senza concorrenza, e abolire i limiti per le altre situazioni. La strada di diminuire il numero di abitanti per farmacia va in questa direzione.
Comunque non sono l'unico a non saper giustificare il numero chiuso. Repubblica riporta questo dialogo a Ballarò:
Floris: "Allora, ci dica perché per i notai c'è il numero chiuso"
Presidente Ordine notarile di Bergamo: "Ehhhhhhhh, ehhhhhhhh, ehhhhhhmmm (per lunghi secondi). Perché non tutti possono fare i notai"
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