Il prossimo anno, che ci porterà alle elezioni, sarà molto interessante, perché tutte le forze politiche dovranno decidere cosa vogliano fare da grandi. Non solo nel senso delle alleanze, dei candidati premier eccetera, ma nel senso - ben più importante - di chiarire che strada vogliono intraprendere nel loro futuro a livello di ideali, di idea di futuro.
Per il Pdl, o come andrà a chiamarsi, il problema è evidente. Conclusa (conclusa?...) la parabola di Berlusconi, dominus incontrastato fino ad ora, bisognerà darsi un tono e capire dove si va a parare.
Si vuole recuperare il liberismo della prima Forza Italia? Si vuole continuare con un populismo che porti voti, senza trascurare l'assistenzialismo che è parte importante del carnet elettorale nelle regioni meridionali, tradizionale serbatoio di voti? Si vuole controbattere a Casini sulla strada di un moderatismo vagamente confessionale?
Per ora si brancola nel buio, lacerati dalle correnti. Secondo me qualche defezione sarà inevitabile.
Anche il Terzo polo, nato più per necessità che per convinzione, deve delineare meglio la sua posizione. Pur avendo buone prospettive di raccolta di personaggi in uscita dal Pdl, non è chiaro che cosa si unisca Fini, Casini e Rutelli, né cosa vogliano i tre partiti. Per ora è chiaro che cosa fanno nell'emergenza - un sostegno incondizionato ai tecnici -, ma non si sa cosa vogliano fare dopo.
Fli è nato come una raccolta di transfughi, e c'è dentro di tutto, dagli ex cattolici agli ex radicali, dagli ex fascisti a Fini. Non si capisce se vuol essere una destra o un centro, un partito liberale o statalista. Fini stesso ha abbandonato il vecchio presidenzialismo e la vocazione maggioritaria per stare con Casini.
Anche l'Api non ha una piattaforma ideale chiara. Cattolicesimo sociale? Forse.
In tutto ciò sguazza Casini, che secondo me aspira a guidare una nuova alleanza di centro-destra con un nuovo Pdl, e ce la può anche fare. Insomma, mi sembra un polo del "ma anche" e del "non troppo" (moderatismo).
Il PD, poi, vive una grande contraddizione che secondo me si può riassumere in questi termini: è percepito come troppo poco di sinistra dai suoi iscritti (infatti al congresso ha vinto la linea di Bersani e Fassina, la più di sinistra che c'era), che non fanno mancare i mal di pancia e le escursioni di protesta verso Di Pietro e/o Grillo; ma al tempo stesso è percepito come troppo a sinistra dall'elettorato generale (che non capisce perché vengano ostracizzati i vari Renzi e Ichino), condizionato anche dalle campagne sui "comunisti" di Berlusconi.
In questi giorni la contrapposizione è emersa sulle questioni del lavoro (articolo 18) ma non solo. Nel partito ci sono state per esempio reazioni diverse alla lettera di Napolitano alla rivista Reset in occasione della commemorazione di Luigi Einaudi. Napolitano esorta a riprendere il liberalismo di Einaudi, e c'è chi si chiede se Napolitano sia mai stato comunista o se fosse in realtà liberale. Un dibattito così, applicato al presente del PD, tradisce però la tentazione di considerarsi primariamente un'emanazione del vecchio PCI-PDS-DS, mentre ci sarebbe da chiedersi se il PD non dovrebbe essere qualcosa di diverso (anche considerando che soldi per politiche keynesiane non ce ne sono). Lo stesso Bersani ha fatto una bandiera delle liberalizzazioni, in fondo.
Infine, l'Idv dovrà decidersi a diventare grande senza un avversario (Berlusconi). Qui vedo grosse difficoltà, infatti già ora ha trovato un nuovo bersaglio nel governo dei banchieri. Il partito fa inoltre molta fatica a emergere dalla condizione di partito personale e leaderistico (se non è Di Pietro è De Magistris), e questo - come per il Pdl - non depone a favore di un radicamento nel tempo, oltre le persone.
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