In questi giorni infuria il dibattito sulla vicenda Cospito, l'anarchico condannato al 41-bis.
Di quello parlerò più sotto.
Mi piace iniziare invece segnalando questo podcast di Oscar Giannino con Alessandro Barbano, sulle storture dell'antimafia.
Lo introduco con una vignetta di Zerocalcare (la versione intera del fumetto si trova qui). E' sulla vicenda Cospito, ma mi interessa di più il discorso sull'antimafia.
"Mafiosi".
"Mafia".
Una parola-passepartout, che tronca ogni discussione. Come si fa a non essere contro la mafia?
Con questo criterio si giustificano cose discutibili, quando non ingiustificabili.
Rocco Riccardo Greco, vittima del pizzo, denuncia le estorsioni. Un mafioso, per ritorsione, fa il suo nome. La sua ditta viene interdetta per mafia. Nonostante tutte le assoluzioni, l'interdizione rovina la ditta. L'imprenditore vorrebbe ritirarsi e lasciare la ditta ai figli, ma l'interdizione passerebbe a loro.
Quindi il problema è lui.
Rocco Riccardo Greco si suicida.
Una vittima della mafia, e dell'antimafia.
Per combattere la mafia si accettano presunzioni di colpevolezza, reati vaghi come il concorso esterno, intercettazioni a strascico, istituti come il 41-bis.
Attenzione: non sto dicendo che non servano.
Il mondo reale purtroppo non è l'uperuranio dei princìpi.
Però bisogna avere ben chiaro che si tratta di eccezioni, che vanno usate il meno possibile e in modo ben circostanziato.
Parlando del 41-bis: ha senso che esista un istituto del genere?
Per me sì: è dimostrato che alcuni boss hanno fatto danni e dato ordini anche dal carcere.
Un regime restrittivo è quindi utile, forse necessario.
Però bisogna andare a vedere i contenuti: io capisco le limitazioni sulla comunicazione, e pure l'isolamento; ma che senso ha impedire di leggere un libro o studiare? Quella è alienazione, tortura psicologica con l'obiettivo di far cedere il condannato e convincerlo a parlare.
Sul caso Cospito: ha senso il 41-bis applicato a lui?
Secondo me no. Gli anarchici non hanno una struttura organizzata e verticistica come la mafia: per me già questo deve far sorgere più di un dubbio.
Inoltre non mi pare che ci siano prove del fatto che sia il capo di alcunché o che abbia organizzato atti da dentro il carcere. So che ha pubblicato scritti deliranti inneggianti all'azione violenta, ma incitare genericamente alla lotta, anche armata, non è la stessa cosa di
dare istruzioni operative, come purtroppo riescono (riuscivano?) a fare
alcuni boss mafiosi dal carcere.
Per far sparire l'incitamento bastava qualche misura specifica per limitare la pubblicazione di quegli articoli.
E, in ogni caso, dovrebbe valere il principio per cui in dubio pro reo. Preferisco essere garantista, preferisco un colpevole impunito che un innocente condannato.
Già che ci siamo, qualche appunto anche sull'ergastolo ostativo.
A me non è chiaro perché l'ergastolo ostativo sarebbe un problema per la rieducazione del detenuto.
Se il carcere tende costituzionalmente alla rieducazione, la rieducazione si fa in
carcere per definizione. Non può essere che il fatto di stare in carcere
invece che fuori la impedisca, varrebbe per tutti.
Un carcerato a
cui sia data la possibilità di studiare, seguire corsi, vedere film, avere una
biblioteca, magari scrivere - perché no? - un libro, partecipare a
concorsi di poesia... (tutte cose che in alcune carceri si fanno, non abbastanza spesso ma
si fanno) ha molte occasioni di rieducarsi pur stando in carcere.
L'ergastolo ostativo impedisce il
reinserimento in società, questo è vero, ma di per sè la Costituzione
parla di rieducazione, non di reinserimento.
L'obiezione può
essere che allora spendiamo soldi in corsi eccetera in modo inutile,
perché il rieducato non rientra in società. Può essere, ma questo è un
altro ordine di discorsi (il raporto costi/benefici) rispetto ai diritti
costituzionali.
Questo non è in contrasto con quanto dicevo sopra sul garantismo: il garantismo e la certezza della pena sono due facce della stessa medaglia, sono indissolubilmente associate.
La pena non deve essere inutilmente afflittiva.
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