Ho letto questo interessante articolo del professor Felice.
Non credo di averci capito molto, non ho una sufficiente preparazione filosofica al riguardo.
Però la lettura ha stimolato un'intuizione. Vaga, ma che in realtà mi frulla in testa da parecchio tempo. Credo di averne già scritto più volte.
L'accento individualistico e efficientista che si è imposto in maniera pronunciata negli ultimi cinquant'anni ha qualcosa a che fare anche con la pace.
A volte la guerra è razionale. E' efficiente. E' un modo per ottimizzare il proprio benessere. Il bullo che ruba la merendina sapendo di restare impunitofa una cosa individualisticamente utile. Lo Stato che abusa della propria posizione di forza ragiona nello stesso modo.
Se non c'è un'opposizione filosofica intrinseca all'idea di guerra, di male, il solo realismo e utilitarismo può non escluderla. Se non c'è un orrore interiore, direi, per l'idea di guerra e di male, saremo più deboli di fronte ad essi.
Ecco che rientra in gioco l'etica personale. La capacità di rinunciare a un proprio vantaggio per qualcun altro, per un bene comune. Il contrario dell'individualismo.
Mi ritornano nuovamente in mente le parole di madre Teresa al ritoro del Nobel per la pace: "Se una madre può uccidere suo figlio, chi impedisce agli uomini di uccidersi tra di loro?".
Le avevo già rilette in senso antropologico, mentre oggi le leggo in senso anti-individualistico.
La scelta dell'aborto è una soluzione razionale, in tanti casi, dal punto di vista individualista. E in molti sensi può essere difendibile dal punto di vista della legittimità legale (non è scontato che un bambino nella pancia sia titolare di diritti; la madre lo è di certo). Tutto ciò, però, con il presupposto di non mettersi dal punto di vita del nascituro.
Se non c'è un "orrore" innato, morale e non razionale, per l'uccisione del feto, in nome del razionalismo individuale, forse allora non ci sarà l'orrore nemmeno per la guerra.
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