In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace.Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
A me pare che le due piccole parabole portate a esempio da Gesù siano piuttosto fuori posto.
Se leggiamo i versetti 25-27 e 33, il discorso fila: è un discorso sula necessità della rinuncia radicale per la sequela.
I versetti centrali, 25-32, portano due esempi che sembrano parlare invece della necessità di essere previdenti, prudenti. L'esempio del re e della guerra sembra addirittura un'incitazione al compromesso, altro che radicalità. Non vedo che c'entrino questi esempi col discorso di contesto.
Per il re si può pensare che in un certo senso "rinuncia" a ciò che è nella sua disponibilità, a usare i suoi diecimila uomini, alla guerra. Per il costruttore, invece, mi pare che addirittura si tenga i beni (i suoi soldi), invece di sperperarli.
L'unico nesso che so trovare: forse l'esortazione è a non intraprendere la sequela se non si è sicuri di poter andare fino in fondo, cioè di essere capaci a rinunciare a tutto.
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