Sto leggendo Una stella incoronata di buio di Benedetta Tobagi, che parla della strage di piazza della Loggia. Sono proprio contento di averlo recuperato in biblioteca. Non conosco abbastanza di quell'avvenimento, e la trattazione è molto dettagliata. Ma il libro va ben oltre, tracciando un vivido spaccato dell'Italia degli anni '70, e fornisce quindi una visione molto completa.
La lettura mi sta molto impressionando per la distanza che sento tra l'oggi e quel mondo che mi sembra completamente alieno.
Il capitolo Cantata descrive alcuni dei protagonisti di quell'epoca, poi rimasti vittime della strage. Non posso non percepire la mia estraneità a un modo di pensare, di ragionare che non capisco.
Non capisco come potesse essere razionale la scelta "rivoluzionaria", ribellista, di destra o di sinistra, dopo il fascismo e dopo i carri armati di Budapest e Praga, nell'era Breznev.
Non capisco come si potesse non vedere la contraddizione tra programmazione (io direi: totalitarismo) e libertà, come giustamente si chiede anche Alberto Trebeschi nel suo diario. Ed è simbolico che il diario in quel punto si interrompa, vada perso: una risposta non è possibile.
Posso ancora capire gli operai, che avevano ottenuto lo Statuto dei lavoratori con le loro lotte, e che sentivano la necessità di emancipazione culturale (anche se nel libro questa parte secondo me cede un briciolo all'agiografia). Ma gli universitari, la cui preparazione culturale avrebbe dovuto mostrare le insuperabili contraddizioni del modello marxista, o almeno della sua realizzazione?
E non posso non pensare alle conseguenze (alcune buone, molte altre cattive) che questa ideologia post sessantottina ha avuto sulla società, spianando la strada agli anni '80 con il loro individualismo e lo sfilacciamento del tessuto sociale. Un caso da manuale di eterogenesi dei fini.
Il capitolo Fascisti è un'interessantissimo spaccato sulla fazione "nera" della società, di allora e di adesso.
Ho trovato molto interessante - anche se forse un po' accondiscendente, come le pagine sugli operai di cui sopra - la parte su Casapound. La descrizione dell'incontro di Manlio Milani con i ragazzi di Casapound è una chiarissima riflessione in anticipo di qualche anno su post-verità e dintorni.
Nel capitolo Granchio d'ombra, impressionanti sia la lucidità con cui il giudice Zorzi riconosce le coperture di cui questa parte godeva, sia la constatazione di quanto questi neofascisti fossero una sparuta minoranza. I meccanismi con cui i ragazzi si avvicinavano a quell'area ricordano il bullismo, ed è emblematico, quasi un ammonimento, leggere come una minoranza in qualche modo vessata (i "rossi", che erano minoranza nella società e sempre esclusi dalle stanze dei bottoni) possa comunque rivalersi in modo altrettanto vessatorio su una minoranza della minoranza.
Mi ha colpito moltissimo la descrizione di quel clima di violenza diffusa, che pure anche mio padre mi ha descritto. Mi fa specie leggere che "a quei tempi era così", era normale minacciare violenza verbale e non solo. E' veramente un altro mondo.
Ma non posso fare a meno di pensare che non sia del tutto vero, che "a quei tempi era così". Gli attivisti, in tutta la gamma dal pacifico all'estremista, erano una minoranza. Era possibile anche non farsi prendere da quel clima di contrapposizione. Moltissime persone si sono semplicemente rimboccate le maniche e hanno costruito una società migliore con il lavoro, creando ricchezza, con l'esempio, formando famiglie e crescendo i figli nel miglior modo possibile, interessandosi della cosa pubblica nei modi istituzionali e nella società, con il volontariato. Ne ho testimonianza diretta in famiglia.
A volte non era neppure semplice, o scontato, sottrarsi alla logica della contrapposizione. A maggior ragione, quindi, credo che tutte queste persone abbiano fatto il bene del mondo in misura maggiore rispetto a tantissimi protagonisti del libro, anche coloro che sembravano essere dalla parte "giusta".
Mi riservo di completare la riflessione al termine della lettura del libro. In ogni caso, una lettura veramente preziosa.
Solo una cosa non posso perdonare all'autrice: quando all'inizio del libro gli avvocati si trovano fuori dal tribunale dopo una sentenza e decidono di sciogliere la tensione con un aperitivo.
Uno spritz.
Benedetta, a Brescia si beve il pirlo!
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