Sabato scorso ho partecipato a un incontro della SFISP sul Welfare, in cui la dottoressa Chiara Lodi Rizzini ha presentato alcune esperienze di "secondo welfare", ossia - in parole molto povere - di welfare compartecipato da soggetti pubblici, privati e del terzo settore, caratterizzato da un impegno a responsabilizzare il beneficiario.
Nel presentare l'argomento, la dottoressa ha mostrato come per le statistiche l'Italia spende in spesa sociale circa il 30% della spesa pubblica complessiva, dato in linea con la media dell'Europa a 15. Il problema è che questa spesa è per il 60% pensionistica, valore che invece ci colloca molto sopra i partner europei. Questa non è una novità: in Italia abbiamo moltissimi pensionati, per l'anzianità della popolazione e per gli anni di pensionamenti troppo facili.
In attesa che la vituperata riforma Fornero riequilibri un po' le cose, è chiaro che se a parità di spesa sociale si spende di più per le pensioni restano meno soldi per gli altri capitoli: disoccupazione, housing sociale, povertà...
Il cosiddetto secondo welfare va ad agire spesso in queste direzioni, e permette - collaborando con associazioni di volontariato, o enti non profit - di realizzare un moltiplicatore per la risorsa pubblica: se lo Stato dà un contributo a una associazione, la quale può contare su erogazioni private e/o su lavoro volontario da parte dei cittadini, il servizio fornito potrà avere un controvalore ben superiore all'importo imegnato dallo Stato.
Io non so se sia giusto o meno che siamo "ridotti" così, che lo Stato debba appellarsi alla buona volontà dei cittadini e senza di essa non possa permettersi livelli di assistenza ottimali. Chi crede nel primato della sussidiarietà magari sarà lieto così, chi non ci crede troppo penserà a un fallimento del ruolo pubblico. Però la situazione è questa, e credo che si debba prenderne atto. Continuare a dire "lo Stato dovrebbe..." è inutile, è ululare alla luna.
Cominciamo invece a impegnarci in prima persona, invece di chiedere solamente. Impegnamoci nel volontariato, o se possiamo contribuiamo "in solido" con la beneficenza alle cause che più sentiamo vicine. Il secondo welfare dipende essenzialmente da queste disponibilità.
Conviene anche a noi: se in un panorama di ristrettezze vogliamo ricevere comunque un'assistenza ottimale laddove sia necessaria, l'alternativa al secondo welfare è che accettiamo di vedere aumentare il prelievo fiscale. Possiamo anche invocare una spesa migliore da parte dello Stato, più efficienza eccetera, e senz'altro io sono il primo a farlo; ma visto che le pensioni bisogna continuare a pagarle (non si vorrà tagliare su quelle! Di solito non è una strada molto popolare) lo spazio di manovra non è molto ampio da questo punto di vista.
Allora non è meglio che scegliamo noi cittadini a chi debba andare il nostro impegno, o i nostri denari, senza che arrivi a prelevarli il fisco - e che li metta dove vuole lui?
In questo modo ciascuno può seguire le sue corde e le sue inclinazioni personali. Se uno ha l'idiosincrasia per i preti faccia servizio in Croce Verde. Se uno si sente portato per l'Islam faccia un'offerta alle associazioni che si occupano di immigrati e mediazione culturale. Se uno al contrario è allergico ai servizi sociali perché pensa che tutti i soldi vadano agli immigrati, faccia un'offerta al FAI, o faccia volontariato alla casa di riposo del paese, dove di negri (ancora) non ce ne sono.
Possiamo dirlo con Kennedy: non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te, ma chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese.
Possiamo dirlo con gli scout: cerca di lasciare il mondo un po' migliore di come lo hai trovato.
Possiamo dirlo con papa Francesco: se la misericordia non tocca le tasche, è ben poca cosa.
Fatto sta che alla fine tocca a ciascuno di noi rimboccarsi le maniche, e contribuire per quello che può. In ogni modo. Torna buono anche a noi stessi.
Nessun commento:
Posta un commento