Proprio qualche giorno fa avevo scritto sull'aborto, sul nazismo, sulla Germania culla della filosofia moderna e sulle degenerazioni del pensiero umano.
Oggi arriva un'altra speculazione teorica (perché ovviamente si comincia sempre dalle "speculazioni solo teoriche"), che nasce addirittura - e mi vergogno di questo - negli ambiti accademici italiani, dal dipartimento di filosofia di Milano, tra gli altri, e da due studiosi italiani. L'abstract dell'articolo in questione recita:
Abortion is largely accepted even for reasons that do not have anything to do with the fetus' health. By showing that (1) both fetuses and newborns do not have the same moral status as actual persons, (2) the fact that both are potential persons is morally irrelevant and (3) adoption is not always in the best interest of actual people, the authors argue that what we call ‘after-birth abortion’ (killing a newborn) should be permissible in all the cases where abortion is, including cases where the newborn is not disabled.
che in italiano recita più o meno così (faccio esercizio di traduzione per cercare di rendermi conto fino in fondo di quello che c'è scritto):
L'aborto è largamente accettato anche per ragioni che non hanno nulla a che fare con la sa-lute del feto. Dimostrando che (1) sia i feti che i neonati non posseggono lo stesso status morale (forse in italiano va meglio "etico") delle persone vere, (2) il fatto che entrambi sono potenziali persone è irrilevante e (3) che l'adozione non è sempre il miglior interesse per le persone vere, gli autori sostengono che ciò che chiamano 'aborto post natale' (uccidere un neonato) dovrebbe essere ammissibile in tutti i casi in cui lo è l'aborto, inclusi i casi in cui il neonato non è disabile.
Se ne è parlato, in questi giorni, soprattutto sui giornali e sui siti più sensibili all'argomento, come Avvenire.
Per farmi un'idea di prima mano dell'articolo, sono andato a leggere la versione originale.
Durante la lettura, la sensazione è di ribrezzo e ripugnanza. E' una sensazione di "pancia": la prima cosa che mi è venuta in mente è "Aktion T4". Sono ricordi che riemergono dall'abisso più nero dell'umanità, dalle fogne della storia. Mi fa piacere che le reazioni pubbliche siano state per la stragrande maggioranza di questo segno.
Non sto neanche a discutere le affermazioni contenute nell'articolo, che si basano su presupposti etici (etici?) che dimenticano completamente millenni di civiltà, riducendo la questione a un funzionalismo meramente economicista e utilitarista che si sperava tramontato dopo il nazismo e le trisi esperienze dell'eugenetica della prima metà del 1900.
E' persino difficile mettersi a confutare certe argomentazioni, perché vengono a mancare i postulati fondamentali, le basi comuni dell'argomentare. Per esempio, il fatto che nessun essere umano può disporre della vita altrui, base di ogni campagna contro la pena di morte (che comunque laddove è - colpevolmente, secondo me - ammessa è comminata a fronte di un atto positivo del condannato, che genera una colpa: atto che ovviamente non può esserci per un infante) o il fatto che le persone siano tali almeno (come minimo) dalla nascita, elemento su cui si basano tutti i diritti umani, o ancora il fatto che il patto sociale serva a proteggere i più deboli dalla legge del più forte. E' un po' come se in un articolo ci fosse scritto che 1+1=3: come si fa a confutare con delle argomentazioni? Semplicemente dovrebbe essere pacifico che non è così.
E' patetico anche il tentativo di indorare la pillola cambiando nome all'infanticidio, con motivazioni tra il pietoso e l'agghiacciante. E' un tentativo, quello dell'"eufemismo semantico", che ricorre spesso nelle questioni etiche: sempre diffidare dei neologismi...
L'unica posizione interessante dell'articolo è quella espressa nel paragrafo "The newborn and the fetus are morally equivalent", in cui si sostiene la non soluzione di continuità tra il neonato e il feto, posizione che a me sempre parsa ovvia: in questo senso, però, bisognerebbe dedurre che è necessario considerare il feto una persona, con tutti i diritti che ne conseguono, non il contrario!
Invece l'articolo propugna una definizione di persona che dipende dal possesso da parte dell'essere umano di determinate qualità (razionali, in questo caso). Siamo a prima di Bartolomé de Las Casas, quando si discuteva se gli indios avessero un'anima e addirittura se fossero uomini. Se per definire il godimento dei diritti umani applichiamo un principio "qualitativo" e non "temporale" (dalla nascita, o dal concepimento) si apre la strada al più becero razzismo, e a quanto è già successo nei secoli.
Più complessa la questione della liceità di sostenere certe argomentazioni, a cui si appella il direttore della rivista scientifica.
Tendenzialmente sono d'accordo che si possano esprimere tutte le opinioni, anche quelle "pericolose". In questi casi però mi vengono dei dubbi... sempre per stare in tema di nazisti, era Goebbels che diceva che ripetendo fino allo sfinimento una falsità, questa sarà considerata vera. Comunque preferisco sbagliare per eccesso di garantismo, quindi facciano pure.
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