In questi giorni si stanno spendendo molte parole sul tema dei privilegi ecclesiastici in materia fiscale. Voglio dire anch'io la mia.
Intanto mi sembra che le posizioni in campo non siano poi molto distanti: tutti riconoscono il ruolo sociale della Chiesa e delle sue operazioni caritative, nessuno vuol far pagare chiese ed edifici di culto. Le differenze sono soprattutto su due questioni: ICI e 8 per mille.
Sull'ICI la normativa attuale concede esenzione agli immobili con finalità "non esclusivamente commerciali". Il principio è giusto: ovviamente i luoghi di culto non pagano l'ICI, così come è giusto che un oratorio non la paghi, visto che la parte commerciale (per esempio l'affitto dei locali) è secondaria. E' chiaro che in effetti una norma scritta così sia ambigua: qual è il limite tra il "commerciale" e il "non solo commerciale"? C'è chi dice che basta mettere una cappella in un albergo per aggirare la legge, c'è chi dice che non è così.
Credo che si possa forse cambiare la legge in modo un po' più chiaro (tipo scrivendo "non prevalentemente commerciale", per esempio), ma dovrà sempre essere una regola vagliata caso per caso. Per esempio: il bar dell'Oratorio è un luogo commerciale, ma i proventi finanziano le attività dell'oratorio, struttura che considerata in toto non è certo commerciale.
Comunque, la vigilanza spetta ai comuni: l'ICI è imposta comunale. Sarebbero quelli a dover verificare quali strutture ricadono sotto un caso o sotto l'altro, magari discutendo con la parrocchia: al mio paese è successo così.
Un passo avanti potrebbe essere quello di stilare e pubblicare una lista dei beni immmobiliari ecclesiastici, che leggo mancare ad oggi. E anche qui, chi meglio dei comuni può fare questa operazione di raccolta dati? Sarebbe utile anche per i parrocchiani, che spesso (parlo per esperienza diretta da ex consigliere pastorale) non sanno nemmeno qual è il patrimonio della loro chiesa. Un'operazione di trasparenza non fa mai male.
Sempre per trasparenza, non farebbe male nemmeno una rendicontazione di tutti gli immobili che godono dell'esenzione ICI in base agli stessi principi: quelli delle altre confessioni religiose, come quelli delle associazioni non a scopo di lucro. Per esempio i sindacati, i circoli eccetera, che (anche loro) non sono tenuti a rendicontare un bilancio ma che godono delle stesse esenzioni.
Per quanto riguarda l'8 per mille, la polemica è sul modo di distribuzione: oltre a chi sceglie volontariamente di apporre la sua firma per dare la sua quota alla Chiesa, questa raccoglie anche i contributi di una parte di chi non ha espresso nessuna preferenza, visto che questi sono distribuiti in maniera proporzionale alle scelte di chi ha espresso la preferenza. In pratica, il 40% dei contribuenti esprime una preferenza, di questi l'80% sceglie la Chiesa cattolica, che quindi prende l'80% dell'ammontare complessivo dell'8 per mille.
Secondo me in questo caso c'è poco da discutere: la legge è chiara, è pubblica, è facilmente rintracciabile, vale così per tutte le religioni concordatarie, non vedo cosa ci sia da obiettare.
A me sembra anche una legge ragionevole: anche alle elezioni chi non esprime scelte si ritrova rappresentato in proporzione dalle scelte altrui. Pretendere di non assegnare i soldi degli "astenuti" sarebbe come chiedree di non assegnare tutti i seggi del Parlamento a seconda dell'affluenza elettorale.
Chi dice che i soldi dei contribuenti che non esprimono la preferenza dovrebbero restare allo Stato sbaglia anche per un altro motivo: lo Stato è uno dei "concorrenti" per l'assegnazione dell'8 per mille, e la gente può preferenziarlo sul modulo, accanto alle varie confessioni religiose. Chi vuole già dà i suoi soldi allo Stato: non si vede perché chi invece non esprime scelta dovrebbe essere assimilato a una scelta in particolare. Sarebbe come ascrivere gli astenuti delle elezioni a un solo partito...
A margine, una osservazione sparsa: chi sostiene che non si dovrebbero spendere soldi per finanziare le attività sociali e benefiche della Chiesa, ma spendere gli stessi soldi per erogare direttamente quei servizi, fa i conti male: le attività ecclesiastiche si basano in gran parte sul volontariato, quindi spendendo 100 si può erogare molto più di quel che lo Stato potrebbe fare con gli stessi soldi, visto che il pubblico avrebbe molte più spese (dubito che molta gente sarebbe disposta a lavorare gratis per lo Stato).
Certo, quando si fanno attività sociali va bene, mentre quando si sconfina nel commerciale bisogna stare attenti al fatto che il volontariato non costituisca concorrenza sleale, domanda che spesso ci poniamo in Oratorio.
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